Little Steven e l’arte di essere gregario
Chissà cosa passa per la testa di un artista abituato a palcoscenisci con decine di migliaia di persone o ai premi internazionali più prestigiosi, nel ritrovarsi a suonare di fronte a qualche sporadica centinaia nella splendida cornice del laghetto di Villa Ada a Roma.
Il 17 luglio Little Steven ha messo in scena uno spettacolo eccellente, che dimostra quanto la sua formazione musicale e la sua preparazione vadano ben oltre il ruolo di uomo chiave della E Street Band e dell’intera carriera di Bruce Springsteen.
Certo, l’impatto deve molto all’esperienza col Boss di questi anni, che mai rinnega e, anzi, valorizza.
Si presenta sul palco con la formazione dei The Disciples of Soul, a metà tra un gruppo funky e tex mex.
In realtà trattasi di un melting pot che viaggia nella pancia della musica afroamericana omaggiando il soul della Motown e il blues della Chess Records – a proposito, si segnalano la bellissima ‘The blues is businness‘ di Etta James e ‘Soulfire‘ di The Breakers oltre che l’iniziale ‘Sweet Soul Music‘ di Arthur Conley.
Ampio spazio alla sua produzione solista, non particolarmente esaltante eccezion fatta per ‘Under The Gun‘ o ‘l Saw The Light‘.
Ben tre pezzi sono stati pescati dal repertorio di Southside Johnny, grande cantautore americano legato da sempre a Springsteen e a Little Steven, con ‘Love on the wrong side‘, ‘Some things just don’t change‘ e ‘I don’t want to go home‘.
Certamente la voce di Van Zandt non è mai particolarmente all’altezza ma la band lo supporta sempre nel modo migliore.
Gli arrangiamenti sul palco funzionano e su tutto emergono i virtuosismi vocali delle tre coriste afroamericane Sara Devine, Tania Jones e Jaquita May.
Alla fine sono state oltre due ore e mezza di un concerto divertente e con una certa qualità.
Little Steven sembra avere superato quel complesso da “chitarrista del Boss” che per anni lo ha attanagliato, e la sua serenità artistica emerge da esperienze come questa dei Disciples of Soul.
D’altronde lui, come tutta la E Street Band, ha un merito enorme nella storia del rock: sono dei veri filologi della musica, e cioè riscoprono esperienze musicali, o anche singoli pezzi che la polvere del tempo stava per nascondere.
Questo tour Little Steven ha voluto dedicarlo all’intera working class americana, specialmente agli insegnanti e al loro lavoro così importante in un momento in cui il mondo sembra impazzire.
Un artista dai molti volti, capace di ritagliarsi il ruolo che la situazione impone: che si tratti del Boss, della sua band o anche di Silvio dei “Sopranos“.