Leprous, sempre più lontani dal Sole
Protagonisti assoluti al Fabrique di Milano
I Leprous in Italia per una data unica, in bilico tra sensazioni ed energia
Questo freddo ed umidiccio lunedì milanese invoglierebbe a far tutto tranne che uscire, ed è esattamente ciò che avrei fatto se i Leprous non avessero scelto proprio questa serata per tornare in città ed ammaliarla con la languida emotività che permea i loro dischi più recenti.
Riposti quindi i propositi di dedicarmi ad una sana seduta di couch-potatoing, faccio rotta verso il Fabrique dove arrivo solo per rendermi conto con estremo rammarico di aver perso il (breve) set dei norvegesi Kalandra, poco conosciuti dalle nostre parti ma dei quali avevo particolarmente apprezzato la suadente voce di Katrine Ødegård Stenbekk e l’etereo alternative-pop a tinte folkeggianti di cui era intriso “The Line”, il loro album di debutto datato 2020.
Per contro, riesco ad assistere in toto alla performance dei Monuments, quartetto inglese che si muove agevolmente tra djent e math-core.
Forti di quattro dischi e diversi tour all’attivo, il combo britannico prende posizione sul palco con il malcelato intento di prendere a sonori schiaffoni il pubblico, intento che nel giro di una quarantina di minuti portano a termine con innegabile successo, riuscendo nel contempo a scatenare un pogo frenetico nel bel mezzo del parterre.
Pur non essendo esattamente il mio genere preferito, devo riconoscere ai Monuments una più che discreta perizia strumentale, con menzione particolare per il chitarrista e fondatore del gruppo John Browne (ex-Fellsilent).
Il nuovo front-man Andy Cizek è uno di quegli urlatori che riesco a tollerare solo a piccole dosi, ma quando non strilla rivela notevoli doti espressive che trovano modo di emergere, in particolare, negli epici otto minuti e rotti di ‘The Cimmerian‘ con annessa ospitata del violoncellista dei Leprous, Raphael Weinroth-Browne.
Non sono sicuramente il mio pane quotidiano, troppo monocordi per i miei gusti, ma lasciano comunque intravedere sprazzi di qualità e da quanto ho visto in sala.
Dalla loro hanno il pubblico giovane che ne ha accolto la performance con grande entusiasmo.
L’appuntamento con i protagonisti della serata prende il via alle 21, quando si spengono per la terza volta le luci di un Fabrique che, pur ridimensionato per l’occasione, si è progressivamente riempito offrendo ai Leprous una visuale sul pubblico che presenta ben pochi spazi liberi.
Questi norvegesi non sono certo un mistero per i fan italiani, che hanno avuto ben più di una chance per saggiarne le qualità in sede live.
Il tour odierno, in supporto all’ultimo album “Aphelion”, con questa data al Fabrique arriva infatti a toccare il nostro paese per la terza volta in 15 mesi scarsi.
E se una curiosità esiste per questo concerto, è tutta legata a quella che sarà la scelta dei brani che verranno proposti.
Nei 22 anni della loro esistenza, i Leprous si sono resi protagonisti di un’avventura musicale dalle molteplici sfaccettature, a cui la definizione di ‘progressive metal’ non può che andare stretta.
Nei sette album pubblicati fino ad ora abbiamo assistito ad una costante evoluzione compositiva, che trova piena espressione negli ultimi due della serie: il precedente “Pitfalls” e, per l’appunto, “Aphelion”, con i quali concretizzano quanto avevano fatto già un poco intravedere con “Malina”.
Pur mantenendo un approccio progressivo, il bouquet delle sonorità che esprimono si è sempre più arricchito, variegato e raffinato, arrivando ad incorporare elementi ambient ed elettronica, sfiorando anche il mondo del pop, mescolando il tutto e restituendolo filtrato dalla loro personale ‘vision’ musicale.
Un tappeto sonoro che funge da perfetto substrato per i testi e la voce di un Einar Solberg sempre più intimista e concentrato nell’elaborazione dei propri stati mentali.
La partenza slow con la suadente ‘Have You Ever‘ prelude infatti ad un concerto che vede protagonisti proprio i già menzionati ultimi due album, da cui vengono eseguiti ben 9 dei 14 brani complessivamente eseguiti dalla band, dando luogo ad uno show più giocato sulle sensazioni che sull’energia, con il falsetto di Einar che si insinua tra la folla per guidarla nei meandri della sua mente.
Energia che non risulta comunque completamente assente, solo ben distribuita lungo tutto il set grazie a brani come ‘The Price‘ (tra le mie preferite della loro intera produzione) e ‘Slave‘, per non parlare di quel piccolo capolavoro che è ‘The Sky Is Red‘, strategicamente posizionata in chiusura di concerto come primo ed unico encore.
Non mancano alcuni richiami al passato, con una splendida ‘The Cloak‘ fatta scegliere dal pubblico tra quattro differenti proposte, e ‘Acquired Taste‘ da “Bilateral” un disco che ha già abbondantemente superato il decennio di vita.
Un concerto emozionante, perfettamente eseguito e sicuramente molto apprezzato dal pubblico.
Loro sul palco sono bravissimi e non hanno sbagliato una virgola.
Personalmente ho trovato la scaletta un po’ troppo sbilanciata verso il nuovo, ma come fargliene un torto?
“Pitfalls” ed “Aphelion” fotografano perfettamente questo stadio evolutivo dei Leprous, ed è quindi comprensibile che la band dal vivo voglia essere rappresentata dal materiale che meglio ne incarna lo spirito e la musicalità.