Lee Ranaldo live a Segrate (MI): godere del presente (del noise)
Per noi che ci sentiamo un po’ orfani dei Sonic Youth, vederne i membri in concerto, anche se ciascuno per conto proprio, è un po’ più di una magra consolazione.
Lee Ranaldo col suo lavoro solista è il 7 marzo al Circolo Magnolia di Segrate (qualche mese dopo il passaggio di Thurston Moore in Italia), a pochi mesi dall’uscita del disco “Electric Trim”.
Anche il chitarrista Lee Ranaldo, come tutti gli altri componenti della band newyorkese che ha fatto la storia del noise rock, ha sempre portato avanti progetti paralleli sin da prima della loro dolorosa separazione, pertanto è doveroso aspettarsi che il live che vedremo a Milano non sia un ripiego o un modo per rimanere ancora in giro, ma un vero e ineccepibile show.
L’apertura della serata non è una di quelle situazioni leggere che creano atmosfera senza esagerazioni: i My Cat is an Alien sono in due, girano intorno a un tavolone pieno di oggetti non meglio specificati, e suonano una serie di altri strumenti strani, il più banale dei quali è forse il theremin, per dire. Con percussioni strane e suoni elettrici grattugiati, costruiscono un rumore strutturato ma che non sembra avere un vero verso, va e viene e muta di intensità ma non sembra avere un inizio e una fine compiuti. All’esibizione dei My Cat is an Alien partecipa anche lo stesso Lee Ranaldo in veste di special guest, nel ruolo di sbandieratore su un pezzo scampanato.
Il cosiddetto Electric Trim Trio compare sul palco con una blanda divagazione iniziale, un inizio dal fondo rumoroso e qualche innesto di chitarra semiacustica, suonata anche con l’archetto da Lee Ranaldo.
Dopo qualche rintocco di piccole campane, esce anche la seconda chitarra elettrica, con un suono che si fa potente nell’incedere e l’arrivo della parte vocale che è più che altro un parlato. L’inizio vero e proprio sembra non arrivare mai, in un crescendo impercettibile che porta a una breve esplosione, tanto attesa e che ci ricorda lo stile di un gruppo che non nomineremo.
La voce di Lee Ranaldo è buona quando sale, ci sono alcuni passaggi che richiamano uno stile folk parecchio tirato, quasi un’impostazione e degli echi di Neil Young rivisitati con la strafottenza dei Sonic Youth (ops, li abbiamo nuovamente nominati). Le linee dei toni bassi si arricchiscono di storture, accogliendo anche le prime vere chitarre fischianti. L’esecuzione è lineare, pur nella complessità della struttura, e non lascia molto spazio ai vezzi. Anche la costruzione dei pezzi è piuttosto leggibile: strofe melodiche dal ritmo morbido, accelerazioni e qualche divagazione negli intermezzi.
I brani che Lee Ranaldo propone sono però eterogenei e vanno da tranquille e lunghe suite a velocità di crociera, a pezzi un po’ strattonati che nascono dalla tradizione del classic rock, fino a ballate con suoni profondi e plettrate marcate. A volte le esplorazioni appaiono un po’ forzate, soprattutto quando non sono particolarmente grintose, ma vengono abbellite dai repentini cambi di velocità.
Qual è il gesto più amorevole che Lee Ranaldo possa fare per il suo pubblico? Ovviamente agitare la chitarra davanti alla cassa spia e farla fischiare in maniera sublime. Il trio è atipico e portato ai suoni più secchi, si carica per l’ultimo pezzo ‘Thrown over the wall‘, che parte con calma e chiude in salita, lasciandosi andare a qualche distorsione che si fa sempre più gagliarda, con un finale tribolato comprensivo di chitarra messa in ostensione come fosse una reliquia. Il bis ha i toni sofferti e il passo lento, con una nuova ascesa che conduce a una chiusura in calando.
Lee Ranaldo si dimostra ovviamente un ottimo chitarrista, dalle idee ancora vivaci e che non si trasformano in un’imitazione del proprio passato. Non ha senso per noi orfanelli rimpiangere i bei tempi e piangere dinanzi alle foto di famiglia, il noise rock ha ancora un discreto presente del quale possiamo godere.