Kula Shaker, pace amore e fantasia
Il ritorno in formazione di Jay Darlington, finalmente affrancatosi dai Gallagher, ed un nuovo album ben riuscito come “Natural Magick” sono due ottimi incentivi per tornare a vedere i Kula Shaker dal vivo, ulteriormente corroborati da un’assenza dai palchi milanesi che perdurava dal lontano febbraio 2016, quando suonarono all’Alcatraz – quello stesso Alcatraz dove si esibiranno anche questa sera.
Raggiungiamo il locale di Via Valtellina quando i Mastica, formazione veneta chiamata ad aprire lo show di questa, stanno già suonando da qualche minuto. Da quanto abbiamo capito, la band si è ricostituita dopo alcuni anni di inattività e quindi quale occasione migliore per ripresentarsi sulle scene facendo da spalla ai Kula Shaker. Il pubblico davanti al palco non è ancora numerosissimo, le 20:00 sono trascorse solo da pochi minuti e molta gente deve ancora arrivare.
Non pare essere un problema per la band, che massimizza il tempo a disposizione infilando un pezzo dopo l’altro senza perdersi in troppi convenevoli. Sono sufficienti pochi minuti di concerto per comprendere come la scelta sia stata tutt’altro che pellegrina, visti i suoni vintage che caratterizzano i brani dei Mastica, con quell’accattivante mix di beat, psichedelia e hard rock cantato in italiano, che offre sicuramente un buon viatico prima che Mills e compagni prendano possesso del palco.
Nel frattempo, l’affluenza di pubblico è progressivamente cresciuta fino a riempire l’Alcatraz, per l’occasione strutturato nella configurazione ‘a palco piccolo’, una soluzione che ne riduce di un buon 50% la capienza ma che ha il pregio di consentire un notevole riduzione delle distanze tra gli artisti ed i propri fan. Con albionica puntualità i Kula Shaker si manifestano sul palco alle 21:00, dando il via al concerto con ‘Gaslighting’, il brano d’apertura del nuovo album. Uscito all’inizio di quest’anno, “Natural Magick” arriva dopo solo un anno e mezzo dal precedente “First Congregational Church Of Eternal Love And Free Hugs”, un lasso di tempo particolarmente breve per una band che ci ha abituato a tempi di rilascio tra un disco e l’altro decisamente maggiori, sintomo di una ritrovata creatività, abbondantemente trasfusa nei tredici brani di cui si compone – davvero un ottimo album che ci riporta indietro nel tempo ed alle sonorità degli esordi.
Crispian Mills si presenta in scena con un caftano argenteo, la Fender a tracolla e l’immancabile caschetto biondo, leader di una band che ha ritrovato sé stessa e finalmente in formazione originale, con il fido Alonza Bevan (basso) alla sua sinistra ed il buon Jay Darlington alla sua destra, semi-nascosto dal suo Hammond che comunque non ci impedisce di notare il suo look alla Albus Dumbledor. Dietro ai tamburi, quella macchina ritmica che è Paul Winterhart. La voglia di suonare, di divertire e divertirsi è palpabile sul palco, i Kula Shaker sono una di quelle band che dal vivo rende molto più che in studio, ed è una gioia per le orecchie sentire l’organo di Darlington inseguire la chitarra di Crispian sul tappeto ritmico intessuto dalla premiata ditta Bevan/Winterhart.
Per ovvi motivi, la scaletta pesca a piene mani da “Natural Magick” con i 3 singoli estratti dall’album piazzati subito nel primo blocco, interrotti solo dalla oldie-but-goldie ‘Hey Dude’, da quel ‘K’ che ne decretò il successo quasi 30 anni or sono, e che questa sera fornisce, insieme al nuovo disco, la gran parete della set-list. Mills e compagni prendono per mano un pubblico trasversale ma completamente recettivo, e lo trascinano in un vortice di vibrazioni psichedeliche di derivazione sixties, infarcite di misticismo indiano e odi in sanscrito, con quei suoni che oscillano tra rock, beat e brit-pop, eredi fuori tempo massimo di una Swinging London più sognata che vissuta.
L’entusiasmo dei fan cresce esponenzialmente man mano che brani si susseguono, e non sono solo per hit classiche come ‘Tattva’, ‘Grateful When You’re Dead’ (meravigliosa la versione jammata di questa sera) o un’ispirata ‘Shower Your Love’ su cui aleggia lo spirito guida di George Harrison, ma anche per i recenti inni peace & love come ‘Idontwannapaymytaxes’ e ‘F-Bombs’, con il mantra «Fuck War!» reiterato all’infinito, urlato a squarciagola da un audience sapientemente aizzata dal buon Crispian. L’immancabile cover di ‘Hush’ chiude il main-set, e manda temporaneamente nei camerini la band che prontamente torna in scena per i bis, perché un concerto dei Kula senza ‘Govinda’ non avrebbe davvero senso, vorrete mica perdere l’occasione di cantare ‘Govinda Jaya Jaya’ insieme al Mills.
Con la cover di ‘Groove Is In The Heart’ dei Deee-Lite lo show giunge al termine, trasformando per pochi minuti l’Alcatraz in una discoteca, ad anticipare la serata danzereccia che, previa evacuazione pressoché immediata del pubblico in sala, avrà luogo nel dopo-concerto. Sono solo le 22:30, le luci si accendono e veniamo prontamente accompagnati all’uscita mentre all’esterno orde di ragazzini in fila attendono di entrare, inconsapevoli di quanto, forse, avrebbero potuto godere nell’ora e mezza precedente.