Kraftwerk, il battito della modernità
Ostia Antica (RM), 27/06/2019
Qualcuno forse ricorderà la rivoluzione musicale della scena house di Chicago anni Ottanta e del trip hop di Bristol dei primi anni Novanta.
Ma nessuno nasce dal niente e così, procedendo a ritroso, si scoprono i primi semi del ritmo sincopato.
Ecco, per quello che riguarda la musica elettronica, essa nasce nella fredda e algida Germania, in quel di Düsseldorf e i profeti sono senza ombra di dubbio questi signori attempati, i Kraftwerk, che si sono mostrati ancora in gran forma, puri alfieri di una modernità ancora in là da venire. Straordinari.
Nell’ambito del Rock In Roma hanno suonato nella pregevole cornice degli scavi romani di Ostia Antica, con una leggera brezza marina che ha attenutato la calura di questi giorni.
Il concerto sembra quasi un tuffo nel passato già nell’ingresso ove venivano distribuiti a tutti gli spettatori degli occhiali tridimensionali per meglio godersi le immagini del megaschermo proiettate durante la performance musicale.
La loro capacità di unire negli anni arte visiva e musicale con i computer, il loro aspetto scenico (notevole), quasi a metà tra un film di Kubrik e un quadro di Mondrian.
Bellissimi anche a vedersi, con delle tutine nere a righe verdi e scarpe di gomma con mezzo tacco.
Anche se la line up non è più quella originale con l’eccezione di Ralf Hutter, la struttura musicale della band è assolutamente ineccepibile e il sound si conferma tecnicamente su livelli molto alti.
‘Man Machine‘, ‘Computer World‘, ‘Autobahn‘, ‘The Robots‘, ‘Tour De France‘ e ‘Trans Europe Express‘ suonano come se fossero stati scritti oggi, e anche se cadono come fossero delle gocce di ghiaccio, suonate dal vivo assumono un calore che sembra quasi andare oltre i confini della loro Düsseldorf.
Che la loro influenza sulla musica pop rock mondiale negli ultimi 30 anni sia stata decisiva ormai è qualcosa di monolitico e di definitivo.
Eppure, a sentirli suonare dal vivo non sembrano pronti per la pensione: tra colori, luci e un battito ritmato che sembra non finire mai, Hutter ci regala anche una performance in italiano sulle note di ‘Pocket Calculator‘, ma sorprendente rimane la sua voce anche in pezzi apparentemente più morbidi come ‘The model‘.
Colpisce molto il seguito intergenerazionale che questa band, apparentemente difficile, continua ad avere – e lo si è visto nella folla che ha assistito al concerto.
Segno che una certa e difficile ricerca musicale non è affatto artificiosa, anzi, colpisce esattamente le esigenze di ricerca artistica di cui anche le nuove generazioni si fanno giustamente interpreti.
I Kraftwerk si confermano ancora in grado di guidare il timone di questo percorso di apertura musicale (e non solo).
Una band che ha fatto della contaminazione inter-artistica il tratto distintivo della propria poetica e il pubblico lo ha compreso e continua a farlo.