Knotfest Italy, Bologna suona heavy
Il Knotfest, il folle circo itinerante degli Slipknot, sbarca finalmente in Italia grazie alla collaborazione con la nostrana Vertigo e porta la sua prima edizione a Bologna, più precisamente all’Arena Joe Strummer (ex- Arena Parco Nord), per un appuntamento esclusivo che verrà certamente ricordato negli anni a venire.
Oltre 15 mila persone accorse da tutta Italia e, in parte, dall’estero già dal primo mattino si sono accodate lungo il viale che costeggia via Ferrarese in attesa di superare i canonici controlli di rito e passare, così, ben 12 ore di puro divertimento in buona compagnia di amici, birra e tanta, tanta musica.
Anche in questa sede, l’organizzazione ha pensato di riproporre circa le medesime disposizioni già precedentemente presentate a Rock The Castle: all’interno dell’area, infatti, sono stati predisposti ben due punti water point, da cui raccogliere e bere acqua gratis durante tutta la durata dei concerti; un nebulizzatore che, nel corso della giornata, ha creato diverse file per godere di un sano momento rinfrescante; diverse zone dove poter acquistare bibite e bicchieri di plastica riutilizzabile pronti all’uso.
Destrage
A causa di un piccolo intoppo organizzativo, che ha dilatato le tempistiche aumentando il tempo di attesa di circa un’ora, molti astanti (inclusa la sottoscritta) hanno perso una grossa fetta dell’esibizione portata on stage dai milanesi Destrage, unica band italiana di questo nutrito cartellone.
Arrivata a ridosso dell’ultimo pezzo, ‘Everything Sucks and I Think I’m a Big Part of It‘, la mia analisi si limiterà, ahimè, solo ad un giudizio complessivo di ciò che ho potuto osservare proprio in questi ultimi 5 minuti.
Paolo Colavolpi e soci hanno sfidato il cocente sole bolognese di fronte a un pubblico non numeroso e, senza mai perdersi d’animo per la poca affluenza presente specialmente nell’area riservata ai possessori del gold ticket, hanno offerto una parentesi live bella intensa.
Bleed From Within
Potenza ed aggressività esplodono con l’arrivo on stage dei Bleed From Within.
La band scozzese, capitanata da Scott Kennedy, esplode in tutta la sua grinta già dal primo brano proposto in scaletta, ‘Stand Down‘, tratto da “Shrine”, ultimo lavoro in studio dal quale verranno presentati ben quattro pezzi sui sei offerti.
Da subito la combo di Glasgow scalda il pubblico bolognese, già bello caldo e partecipativo.
‘Killing Time‘, qui al suo debutto live, scatena maggiormente gli animi belli accesi con gli astanti disposti lungo la transenna del Gold Circle pronti a saltare, incitati dal frontman scozzese che, al termine della propria performance, si è rivolto al pubblico ringraziandolo per il calore e l’enorme entusiasmo, sottolineando quanto la band non sia benché abituata al nostro clima estivo.
Per chi scrive, questa è stata un’ottima occasione di rivedere live la band scozzese, dopo il concerto bolognese con Bury Tomorrow e Crossfaith del 2012, anno in cui il gruppo pubblicò quel bellissimo disco chiamato “Uprising”. Nonostante sei dischi alle spalle, la band (che ha firmato proprio l’anno scorso un contratto con Nuclear Blast) ha dato prova di ritagliarsi un suo spazio all’interno del vasto panorama musicale e siamo certi che anche nei prossimi anni ci regaleranno sorprese.
Nothing More
Da Sant’Antonio, Texas giungono, sotto le alte temperature bolognesi i Nothing More.
A distanza di cinque anni dalla loro ultima esibizione in loco (la band aprì il concerto dei Bullet For My Valentine nel 2018 all’Estragon, club non troppo distante dall’Arena, ndr), Jonny Hawkins e soci tornano in Emilia Romagna in una situazione decisamente infuocata rispetto alla prestazione precedente.
Durante l’esibizione della band, consumatasi in poco meno di mezz’ora, scorgiamo tra il pubblico alcune facce perplesse e, in effetti, il gruppo, autore di un alternative rock dalle soluzioni musicali piuttosto semplici, sembra essere l’unica band poco attinente al bill proposto dalla giornata.
Questo non limiterà in alcun modo lo svolgimento dello show, che procederà spedito e senza troppi intervalli tra una canzone e l’altra.
Hawkins si presenta agli spettatori con il corpo cosparso di vernice nera e rossa e affronta il torrido caldo che avanza di minuto in minuto senza mai perdere la propria grinta.
Nella piccola parentesi a loro dedicata, i texani presentano alcuni estratti dell’omonimo “Nothing More” (2014) e “The Stories We Tell Ourselves” (2017), offrendo in totale circa otto brani e escludendo a priori l’ultimo lavoro in studio, concedendo solo un unico pezzo, l’omonimo ‘Spirits‘.
Tra un brano e l’altro non manca ovviamente il coinvolgimento e la sinergia creatasi con il pubblico: poco prima dell’esibizione di ‘Jenny‘, dedicata alla sorella dello stesso cantante, il chitarrista Mark Vollelunga è sceso nell’area adibita ai fotografi e alla stampa per interagire con la gente dispostasi lungo la transenna.
Un siparietto, questo, piuttosto piacevole che ha regalato anche molti sorrisi.
Da rivedere, sicuramente, in un contesto più esteso e, magari, in condizione dove la luce e il calore esteso del sole non siano così predominante.
Lorna Shore
Definire i Lorna Shore “mostruosi”, diciamocelo, sarebbe semplicemente riduttivo.
La band di Will Ramos e Adam De Micco torna a distanza di un anno dalla sua ultima esibizione live, in supporto agli As I Lay Dying, più esplosiva che mai.
Chi scrive segue la formazione deathcore statunitense da appena qualche mese e tanta, infatti, era la curiosità volta al gruppo proveniente dal New Jersey che, nel corso di appena un anno a seguito del tour promozionale dell’ultimo studio album “Pain Remains” (2022, Century Media Records), ha raggiunto un’incredibile notorietà, diventando di fatto una delle realtà deathcore più amate e seguite di sempre.
In quest’unica tappa italiana del tour, la band incentra tutta la sua potenza ed energia in una scaletta virata proprio all’album del momento, già considerati da molti come una sorta di “pietra miliare” del genere.
Molti sono anche gli spettatori, italiani e stranieri, accorsi all’Arena Joe Strummer per assistere ad un set incendiario che, oltre ad aver scatenato i Circle Pit di rito, ha dato un’ulteriore prova di una band davvero impressionante.
Will Ramos possiede una padronanza tecnica bestiale: il vocalist portoricano riesce, infatti, a passare da una tecnica estrema all’altra senza alcuna difficoltà e lo fa così maledettamente bene, come evidenziato in ‘Cursed To Die‘, ‘Sun/Eater‘ e ‘To The Hellfire‘ che sottolineano l’incredibile spettro vocale del musicista, rendendolo di fatto, ad oggi, uno dei migliori cantanti, se non il migliore a parer di chi scrive, nell’ambito estremo odierno.
La prestazione ci presenta, quindi, una band decisamente in forma smagliante, sebbene inizialmente i suoni non fossero del tutto ben bilanciati; nonostante questo piccolo inghippo tecnico, il gruppo si è portato a casa nuovi fan, desiderosi di rivederli in un altro contesto live, magari in veste di headliner, nel quale potranno manifestare ancora una volta la loro ineccepibile bravura, tra l’altro meritatissima.
I Prevail
Con l’ingresso on-stage degli I Prevail si cambia letteralmente registro.
La band del Michigan ci presenta un bel mashup di death metal e hip hop, al quale il pubblico risponde molto positivamente: la gente, infatti, balla e si lascia andare, come testimoniato anche da qualche simpatico scatto trovato in rete.
Debutto in Italia per il quartetto di Southfield, qui alla sua prima esibizione in assoluto ed in questo caldo pomeriggio la band regalerà una parentesi live piuttosto concitata ed interessante: sebbene la sottoscritta non avesse alcuna familiarità né conoscenza della band, c’è da sottolineare come, invece, tanti fossero gli spettatori che, per tutta la durata del concerto, ha accompagnato vocalmente la prestazione dei quattro musicisti.
In particolar modo dei due vocalist, Eric Vanlerberghe e Brian Burkheiser, i quali si sono alternati molto bene le rispettive parti senza mai sovrastarsi l’uno con l’altra.
Con solo dieci anni di attività musicale e tre dischi alle spalle, la band ha saputo affrontare dignitosamente questa prima vetrina live italiana, conquistando anche coloro che, appunto, non avessero la benché minima nozione della musica proposta.
Gli americani puntano il tutto per tutto presentando un’ottima scaletta, incentrata principalmente su “True Power”, ultima release discografica uscita lo scorso anno e dalla quale verranno estratti ben otto pezzi; a sorpresa, inoltre, la band ha voluto omaggiare un altro grandissimo gruppo, i System of A Down: ed è proprio con l’arrivo di ‘Chop Suey‘, in una chiave decisamente curiosa, che il quartetto di Southfield ci introduce il successivo pezzo, ‘FWYTYK‘, che scatena ancora di più la folla.
Sorprendente, invece, il breve estratto di ‘Raining Blood‘ che ha introdotto ‘Judgement Day‘, poco prima della conclusione di un set che, complessivamente, ha permesso al caldo pubblico bolognese di entrare in contatto con una realtà singolare che, sicuramente, meriterebbe più attenzione.
Amon Amarth
Tempo di un rapidissimo check e cambio palco ed ecco che l’imponente scenografia degli Amon Amarth viene posizionata al centro del palco. giunge, quindi, il momento per gli svedesi di salpare verso l’Arena Parco Nord.
Dopo una piccola parentesi dedicata alla celebre ‘Run To The Hills‘ degli Iron Maiden, gli svedesi prendono possesso del palco e danno inizio alle danze.
A distanza di appena otto mesi dalla loro ultima calata italica, la band torna a farci emozionare.
Lo show messo in piedi dagli svedesi è letteralmente un viaggio nella propria cultura, fortemente ispirata, come noto, alla mitologia norrena.
Con l’opening track ‘Guardians Of Asgaard‘, il pubblico va letteralmente in visibilio e pende dalle labbra e dall’incitamento del vichingo per eccellenza, Johan Hegg.
Anche gli Amon Amarth optano per una scaletta bella concitata, principalmente incentrata sulle ultime produzioni (“Jomsviking” e “Berserker”, per esempio), escludendo a prescindere l’album appena uscito (“The Great Heathen Army”), dal quale verrà estratto un solo brano, ‘Heidrun‘.
Una scelta, questa, abbastanza limitativa in quanto, perlomeno la sottoscritta, si sarebbe aspettata anche qualche grandissimo classico, come ‘Death In Fire‘ o ‘Oden Owns You All‘, ma complessivamente la scaletta ha saputo ugualmente scatenare i fan, grandi e piccini, qui in totale adorazione dell’unico e vero leader.
Divertente è stato anche il siparietto nel quale lo stesso Johan Hegg ha invogliato gli astanti a sedersi a terra, urlando «Row!» (Remate!), suggerendo quindi al pubblico presente nell’arena di mimarne il gesto, come se fosse, appunto, su una barca in tempesta… e rimanendo in tema, poco dopo, Hegg si arma di martello e inscena una lotta contro un drago gonfiabile, lo stesso rappresentato sulla copertina di “Twilight Of The Thunder Gods”.
Ed è proprio così che la band dà il via all’eccitazione più pura, con l’omonima titletrack scelta come degna conclusione di una parentesi live energica e fuori misura.
Architects
La temperatura inizia a calare quando gli Architects irrompono sul palco dell’Arena Joe Strummer di Bologna, a distanza di circa quattro anni dalla loro ultima esibizione nel nostro paese.
Anch’essi visibilmente accaldati, specialmente il vocalist Sam Carter che si presenta molto arrossato sulle spalle e sul viso, la band britannica, qui in veste di co-headliner, si appresta a regalare un’ora e un quarto di set che, per l’occasione, verterà principalmente su “For Those That Wish To Exist”, album uscito a febbraio del 2021 su Epitaph Records e dal quale verranno presentati ben 8 brani sui 16 proposti.
Che gli Architects fossero diventati una sorta di istituzione nel panorama metalcore nel corso degli ultimi anni era già ormai noto e lo testimonia anche la presenza di molti adolescenti e ragazzini che, fieramente, sfoggiano le magliette della band e dimostrano di sapere tutte i brani in scaletta a menadito.
A catalizzare, però, quasi tutta l’attenzione su di sé in questa particolare occasione è proprio Carter: il vocalist inglese, infatti, è autore di un’incredibile prestazione vocale che spazia dalle clean vocals ad uno scream più incisivo, il tutto ovviamente arricchito da una padronanza tecnica impressionante dei musicisti che lo accompagnano. Immancabili, ovviamente, i vari circle pit nell’area, che hanno alzato un muro di polvere e terriccio, alternati da svariati crowd surfing, prontamente fermati dalla security, che ha così incrementato maggiormente la foga degli astanti presenti.
Poco prima del termine del proprio set, la band ha voluto riservare una piccola chicca ai bolognesi: a sorpresa, infatti, durante l’esecuzione di ‘Impermancence‘, Scott Kennedy (Bleed From Within) fa una breve apparizione sul palco per accompagnare Sam Carter in una sorta di duetto piuttosto coinvolgente.
Un’ottima esibizione quella fornita dai britannici che dimostra ancora una volta il valore incommensurabile di una band che ha dato tanto e ha ancora tanto da dare.
Si spera, quindi, che la combo britannica possa tornare per qualche nuova data, magari in previsione della prossima stagione, concedendoci così il tempo di ricaricare le pile e prepararci per un set ancora più infuocato.
Slipknot
Terminata la parentesi live degli Architects, tutta l’Arena può riprendere letteralmente il respiro per circa un’ora, il tempo necessario alla crew e allo staff per preparare l’imponente scenografia che verrà portata sul palco dagli headliner della serata.
Correva l’anno 2009 quando la sottoscritta vide per la prima – e finora unica – volta gli Slipknot dal vivo, sebbene ne abbia sempre seguito le gesta nel corso degli anni.
A distanza di 14 anni da quell’esibizione tenutasi allo Stadio di Monza per il Gods Of Metal, sono cambiate tantissime cose per la band dell’Iowa, si sono susseguiti cambi di formazione importanti, ci hanno lasciato alcuni importantissimi membri (Paul Grey e, qualche anno più tardi, Joey Jordison), altri hanno temporaneamente saltato alcune date del tour in seguito a problematiche familiari serie, ma ciò che non è mai mancata è la voglia di andare avanti a testa alta, senza mai perdere la forza e l’entusiasmo e questo, i nostri cari Slipknot, ce l’hanno sempre dimostrato, anche durante il loro periodo più negativo.
A distanza di appena un anno dalla loro strepitosa performance in quel del Castello Scaligero di Villafranca di Verona, i sette musicisti mascherati tornano più prepotenti e ‘cattivi’ che mai e così, appena passate le 21.40, un coro collettivo che intona ‘Walk‘ dei Pantera accompagna la quiete prima della tempesta ed ecco che, poco dopo, un enorme tonfo ci catapulta nell’esibizione più prorompente ed infuocata di sempre.
Il lungo tendone nero che copriva il palco viene calato e prontamente rimosso dagli addetti della sicurezza e con ‘The Blister Exists‘ il circo degli Slipknot prende finalmente vita con Corey Taylor carico come una molla, così come tutti i musicisti che lo accompagnano.
Da subito ad attirare l’attenzione è proprio la presenza scenica del cantante statunitense che, a più riprese, incita un pubblico disinibito e sfrenato, che si lascia coinvolgere canzone dopo canzone.
Al contrario delle più rosee aspettative, la band ha deciso di puntare la propria scaletta sull’omonimo album di debutto del 1999, dal quale verranno presentate le varie ‘Eyeless‘, ‘Liberate‘, ‘Spit It Out‘ e l’immancabile ‘Wait And Bleed‘.
Non mancheranno certamente anche altri storici brani del combo americano, come ‘People = Shit‘, ‘Duality‘ o ancora ‘Psychosocial‘, la cui resa sonora è identica alla versione su disco, con un Corey Taylor al massimo della sua potenza, sebbene il vocalist renderà noto solo più avanti, nel corso della serata, delle sue problematiche vocali: infatti, Taylor annuncia al pubblico bolognese di aver passato circa due settimane d’inferno a causa di alcuni problemi di salute che, a detta sua, avrebbero inciso sulla sua prestazione.
Problematiche, queste, che in questa particolare situazione non sono mai sorte e che hanno permesso al musicista una maggior efficienza per circa un’ora e mezza di show.
Tirando le somme, questa prima edizione del Knotfest Italy è stato un successo e ha raccolto ottimi riscontri, sia per ciò che riguarda l’organizzazione, che in termini di pubblico, conteggiando oltre 15mila presenze, come poche ultimamente se ne vedono.
Un evento, questo, che ha permesso anche ad una cospicua fetta di pubblico di venire a contatto con realtà che, solitamente, molti disdegnerebbero e che, invece, ha dimostrato come il metal non sia relegato solamente ai “puristi”. Al momento non ci è dato sapere se gli organizzatori avranno, tra i propri piani futuri, quello di riproporre una seconda edizione, vista la storicità dell’evento, che proprio quest’anno spegne le candeline per i suoi primi 10 anni (il festival fu fondato nel 2012 dalla band stessa in collaborazione con Cory Brennan, per chi non lo ricordasse).
Il futuro, al momento, appare roseo e a noi non resta che rimanere in religioso silenzio, in attesa di un nuovo appuntamento italiano da condividere con chi mastica pane e metal da sempre.