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King Hannah

King Hannah, stoffa da finisseur

I KING HANNAH ARRIVANO A MILANO

Hannah Merrick e Craig Whittle portano in Triennale sonorità alternative, folk e post-punk 

Milano, 21 luglio 2024

Cosa mi ha colpito dei King Hannah al punto tale da spingermi in centro a Milano in una serata d’estate inoltrata, sfidando ogni logica e ogni parvenza di buonsenso, per approdare al Giardino della Triennale? In altre parole: come può un gruppo emergere e attirare l’attenzione nel frastagliato, sovrabbondante e al tempo stesso desertico panorama musicale degli anni Venti? La risposta è: scegliere un nome che rimanga in testa e ti faccia dire “Io li ho già sentiti questi”. Essere accomodanti con il potenziale ascoltatore, richiamando subito sonorità familiari che catturino l’attenzione e l’empatia. Non essere noiosi e aggiungere al comfort qualcosa di nuovo, per stimolare la curiosità e creare una leggera assuefazione che può diventare fidelizzazione.

Così, quando questi King Hannah da Liverpool si aggirano nei paraggi, si attivano tutti i meccanismi di riconoscimento. Certo, sono loro che hanno pubblicato un disco carino un paio di anni fa, con qualche pezzo che si faceva ascoltare con piacere. E che poi hanno tirato fuori un secondo disco facendo un salto di complessità, agganciandosi a riferimenti che su qualcuno (tipo me) hanno facile presa (i primi due che balzano in mente ascoltando a mezz’orecchio sono Sonic Youth e Lou Reed, ma di sfumature ce ne sono anche altre) e hanno potuto consolidare e migliorare la propria posizione nel suddetto panorama. E allora andiamo, che di questi concerti né grandi né medi ma nemmeno piccolissimi ce n’è bisogno come il pane. O come l’aria condizionata.

L’inizio del concerto dei King Hannah arriva con un inconsueto ritardo, dovuto probabilmente ad un accordo commerciale con le zanzare che popolano il contesto originale e dal chiaro connotato artistico del Giardino della Triennale. L’ora del tramonto permette a questi sanguinosi insetti di banchettare a spese del pubblico inerme, una versione estiva e pulp del celebre apericena milanese. Ci pensano le chitarre dei King Hannah a sancire la fine della loro macabra festa e a iniziarne un’altra.

Ritroviamo tutti i generi e i riferimenti che conosciamo, senza sfociare nel già sentito. Anzi, aggiungendo altre note a quelle che già si possono apprezzare nei dischi. C’è il noise rock, c’è il rock lisergico, blando e mezzo parlato. Ci sono le chitarre secche e vibrate che fanno muovere avanti e indietro la testa. E nei momenti più lenti c’è anche il moderno folk rock in chiave femminile. Ad un certo punto c’è addirittura dell’indie rock dei primi anni Novanta.


King Hannah

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Nel ciclismo ci sono corridori che vengono considerati specialisti nel viaggiare ad alto ritmo rimanendo comunque coperti, piazzando poi la zampata negli ultimi chilometri e andando a vincere le gare con distacco. Si definiscono finisseur, e i King Hannah ricordano questo approccio. Si scaldano, aumentano il passo ma senza esagerare, e poi danno tutto ciò che rimane in una lunga volata esagitata e allo stesso tempo composta, tagliando da indiscussi vincitori il traguardo di questi brani dalla lunghezza superiore alla media. Raramente si concedono a divagazioni meno composte, qualcuna comunque degna di menzione come il finale di ‘New York, let’s do nothing’ con cui ricordano le loro origini di Liverpool andando a citare un quartetto piuttosto famoso di loro conterranei e la loro ‘Drive my car’.

Il concerto dei King Hannah scorre via rapido, e al momento della conclusione ci rimane un’ultima considerazione: pur avendo ribadito una personalità ben delineata, e con due soli dischi alle spalle, nessun brano è risultato simile ad un altro. L’identità è stata preservata, ma l’originalità non ne ha affatto sofferto.

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