King Hannah: quando la musica non fa paura
Le melodie da sogno e muri di feedback di Hannah Merrick e Craig Whittle
Al Monk di Roma i King Hannah per il tour europeo di “Big Swimmer”
Roma, 5 Dicembre 2024
“Non c’hai proprio un cazzo da fare, eh”. Il sorriso dell’addetto alla security del Monk mi accoglie così al concerto dei King Hannah. Ormai vedo più lui che le persone a me care. “Daje Torto” commenta il giorno dopo una persona che mi sta a cuore. Apertura scanzonata e leggera, per una serata di quelle in cui la musica promette invece di affondare radici in spazi fatti di vuoto, silenzio, riflessione.
Il programma è parecchio denso. Hannah e Craig saranno il secondo concerto in una serata che prevede tre progetti sul palco. Joe Gideon si presenta che ancora non sono le 20.30. Assolve il compito di accompagnarci alla celebrazione dei King Hannah.
Chiuderanno il programma The KVB, duo audiovisivo londinese formato da Kat Day e Nicholas Wood, già a Roma qualche anno fa. Combinazione di sintetizzatori, sequencer e chitarre anni Ottanta. Visual spettrali, monoliti, città post-apocalittiche lanciano proclami a un’umanità estinta.
The KVB attingono al filone che parte dai Joy Division, passa per gli OMD e arriva ai Sister of Mercy. Un’ora abbondante di post-punk e dark wave infarcito di molta elettronica. Chitarre sovraccariche di flanger, bassi martellanti che fanno tremare le pareti del Monk e saltare i non pochi rimasti ad ascoltarli, planando sull’onda lunga dei King Hannah.
La band della Merseyside degli ultimi anni della musica targata UK e non solo. Ne sono passati quattro da quando Hannah Merrick e Craig Whittle, si rivelavano al mondo con “Tell Me Your Mind And I’ll Tell You Mine”, primo Ep costruito su splendide melodie e ballate che aprivano improvvisamente a interventi chitarristici lancinanti. “I’m Not Sorry, I Was Just Being Me”, atteso primo album esce nel 2022 e conferma, se non supera, le aspettative di critica e pubblico. A seguire, il primo tour mondiale e nei viaggi di trasferimento durante le date americane si forma il terreno nel quale germinerà “Big Swimmer”.
Erano stati in Italia già lo scorso anno, esibendosi agli immancabili Ypsigrock e Todays, dove riuscii nell’impresa di perdermeli, causa principio di congestione. Tornati nel luglio di quest’anno per quattro date nel centronord, arrivano a Roma stasera per presentare il loro lavoro uscito nel settembre 2024.
Lo fanno con dodici brani, per un’ora e quindici minuti di concerto, che lascia qualcuno, che si aspettava una performance più sostanziosa, con un sapore dolceamaro in bocca. Ma è la durata coerente con i concept che sembrano ispirare la filosofia della band: equilibrio e misura. Elementi che attraversano la loro produzione e la musica di stasera. E non è detto sia un male uscire da un locale avendo ancor voglia di ascoltare la band.
Come di norma nei live, King Hannah rimpinguano la loro formazione. Accanto ad Hannah e Craig, ci sono Conor O’Shea al basso e Jake Lipiec alla batteria. I brani che compongono la setlist sono per gran parte estratti da “Big Swimmer”. Soltanto due canzoni sono ripescate dal primo lavoro e dall’EP di debutto. A queste si aggiungono due cover. La prima è ‘State Trooper’, tratta da “Nebraska”, il disco folk di Bruce Springsteen. La seconda è ‘Blue Christmas’, tradizionale natalizio datato 1948, già riproposto da Elvis Presley e presente in “Big Swimmer” . Scelte che ci indicano quanto la band si senta debitrice, almeno in questo disco, della tradizione folk americana.
In fondo, anche aprire il live con ‘Somewhere Near el Paso’ può essere letta come una dichiarazione di intenti, o come il manifesto della loro poetica musicale. Quasi otto minuti di respiro lento e profondo di un’incombente alba nel deserto del Texas. Spazi fisici enormi, dilatati isomorfici con quelli sonori. Tappeti di tastiere, cui si aggiunge il gioco della chitarra di Craig Whittle con il pedale volume ad aggiungere eterea attesa di un muro di chitarre finale e di un solo strappato dalle viscere di una Fender straziata e urlante.
Ma è USA anche in ‘New York Let’s Do Nothing’, nel titolo, nell’energia e in un certo suono un po’ Sonic Youth, dal vivo più marcato rispetto al disco. Altro che pseudo fenomeni dell’alternative (bar italia ci siete ancora?), i King Hannah sanno suonare eccome. O anche in ‘Davey Says’, inizialmente indie rock, ma nella melodia del ritornello cantato a due voci da Hannah e Craig ci colgo lontane reminiscenze country folk.
Quella dei King Hannah è una ricetta che funziona, godibile, efficace, d’impatto. Forse alla fine può risultare un po’ standardizzata e ripetitiva, ma non possiamo pretendere tutto e subito. È una formula vincente quella di riempire e svuotare, di creare tensione e attesa con le placide e nordiche atmosfere dipinte da Craig Whittle, che si ripiegano su loro stesse come nel caso di ‘John Prine On The Radio’, una calda carezza di un’aurora su una foresta canadese. Quando invece, in ‘Creme Brulèe’ e ‘Go Kart Kid (Hell No)’ improvvisamente si incendia in muri di suono di matrice shoegaze, con muri di chitarre intrise di distorsioni da fuzz e feedback, in contrasto e con le morbide e sinuose linee melodiche vocali.
Perché l’ingrediente, nemmeno troppo segreto, che trasforma i piatti che offrono al Monk, per l’occasione sold out, in manicaretti gourmet è un altro.
Hannah Merrick, eleganza, classe, magnetismo. Indossa lo stesso vestito del video di ‘Big Swimmer’. Rosso intenso, con i volant sulle braccia. Ha carnagione chiara, ma i capelli scuri, le movenze e i lineamenti marcati le conferiscono sensualità e bellezza orientale e mediterranea.
La voce è profonda, da contralto, ricca di armoniche, fatta della stessa materia con cui sono fatti i sogni direbbe Shakespeare. In diversi chiamano in causa Hope Sandoval e l’accostamento non è azzardato. L’ex cameriera di Liverpool è un sensuale sussurro in ‘New York Let’s Do Nothing’. In ‘The Mattress’ sembra quasi una cantante da jazz club; resta da sola con la sua chitarra acustica e il silenzio nella sala è tale che puoi sentire il classico spillo cadere. Ma il momento topico è il suo chiedere cosa stessimo dicendo dopo l’ennesimo “daje” della platea.
Quando la serata volge alla conclusione, i King Hannah ci salutano invitando a immergerci e lasciarci pervadere dalle emozioni sospese a mezz’aria nel tempo eterno dell’infanzia, evocate prima dalla splendida ‘Big Swimmer’, poi dalla già citata ‘Blue Christmas’.
«La musica è pericolosa. Agisce a un livello così profondo e inconscio da diventare pericolosa. È un fatto estremamente misterioso che non so bene con cosa ha a che fare. Ma io avverto sempre nella musica una specie di minaccia, un risucchio pericoloso.»
Sono parole di Federico Fellini, che hanno ispirato Nicola Piovani, per il titolo del suo ultimo libro. Forse hanno ragione, forse lontano da emozioni forti si può vivere meglio. Ma stasera, forse solo per stasera, non è andata così