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Kazu, echi e riverberi di inquietudine

Milano, 19 novembre 2019

Kazu Makino ha aperto una parentesi nella sua carriera coi Blonde Redhead, e si presenta come Kazu sul palco della Santeria Toscana 31 di Milano con “Adult Baby”, il disco del suo esordio solista (leggi qui la recensione al disco).
Possiamo un po’ considerarla un’artista di casa nostra, questa cantante e musicista giapponese che ha trovato la sua strada in una band newyorkese insieme a due fratelli italiani, ed è per questa e altre ragioni legata al nostro paese, ed è qui che prima da Roma e poi da Milano prende piede il tour europeo.

Ancora più italiani i Les Enfants, che si fanno un po’ stretti per starci tutti sul palco, proponendoci il loro piglio melodico condito da un velo di incipiente tristezza, che si fa profonda nelle tastiere.
La facile presa dell’indie pop prende qualche sfumatura dream che aggiunge echi cosmopoliti e che fanno da contraltare a un linguaggio molto colloquiale e amichevole.

Les Enfants

L’ingresso di Kazu è decisamente schivo, di soppiatto e al buio, quasi nell’anonimato.
Attraverso le tastiere, la batteria e gli effetti prende forma il suono di estrazione classica, con una voce dal classico piglio sinuoso che, con profondi echi e riverberi nella voce, da subito si insinua e pervade lo spazio.
Ed è lì, davanti agli occhi di tutti, il bizzarro accostamento tra paillettes e mellotron, quasi un ossimoro audiovisivo.

Kazu Makino

I primi brani di Kazu si aprono gradualmente e si dipanano molto lentamente, mentre nell’aria e negli occhi, quando spuntano sotto la visiera di un altrettanto inusuale berretto, si percepisce parecchia tensione. La struttura dei pezzi è complessa, ma la sintesi e l’elaborazione del suono avvengono quasi per intero in tempo reale sul palco.
A questa espressione digitale si sovrappone la voce, un’incisione analogica precisissima, un’epigrafe scolpita senza alcuna sbavatura nella pietra.
“Adult Baby” è un disco nato in orologeria, e sul palco viene replicata la costruzione, un processo preciso e privo di imperfezioni.
Nessuna virgola fuori posto nemmeno quando Kazu si alza ulteriormente con la voce e prende in pieno note improponibili. Il freddo delle sonorità contrasta con il calore delle frequenze, ed è impossibile riconoscere nei brani le strutture canoniche.
È un continuo aggiustamento, un sistemarsi e mettersi a punto per andare là dove la voce dovrà andare, seguentdo traiettorie e parabole imprevedibili.

Kazu si esprime come chi arriva da un altro mondo e un altro pianeta, e non può fare altro che prendersi il centro della scena e rimanervi.
Dopo aver veleggiato ad alta quota, l’encore fa piombare negli abissi con batterie “pesanti” e sviolinate corpose e quasi lugubri, mostrando il lato oscuro di una performance e di un’opera dalle parvenze di inquietudine, qualunque sia la prospettiva da cui le si mostri e le si guardi.

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