Jinjer, un martello pneumatico che non subisce battute d’arresto
Tinte metal sotto il cielo d’agosto con i Jinjer di Tatiana Shmayluk
Grande performance della band ucraina, ospite al Bum Bum Festival edizione 2022
Si parcheggia in mezzo ai campi, ai lati delle strade, dentro anfratti e pieghe di case per riuscire a trovare posto per raggiungere quella che sembra una sagra di paese in mezzo alle colline bergamasche.
Il Bum Bum Festival, invece, quest’anno torna a 30 anni dalla prima edizione e vedendo da lontano il parco con una tendostruttura bianca sembra strano ipotizzare che un gruppo famoso a livello internazionale si possa esibire qui.
Varcando la porticina d’ingresso che apre sul lato al parco si prospetta bene, in verità, la reale dimensione di quella che è la realtà – ovvero, tutto fuorché una sagra.
Per il clima amichevole che si respira, il Bum Bum Festival ha l’attitudine di una festa paesana ma ha organizzazione, l’efficienza nel servizio food and beverage e la proposta musicale sono da grande evento europeo.
Come non bastasse, i concerti sono da sempre (e per sempre, come dichiarato nella locandina) rigorosamente gratuiti.
Alle 21.20 iniziano a suonare i Demetra’s Scars.
I quattro ragazzi si impegnano molto e nel loro non brevissimo set di 40 minuti hanno ben figurato.
Si nota un piccolo attimo di timore durante l’esecuzione del primo brano, ma riescono a sciogliersi quasi subito e a dare il meglio di sé.
Molti pezzi sono ben cadenzati soprattutto grazie alla presenza di un batterista strepitoso, sicuramente il miglior elemento della formazione.
Yassir Belfartas è un macina teste, ben preparato e capace di ritmiche violente.
In altri pezzi si denota un po’ di monotonia e la band risulta, per questo, acerba nello sviluppo creativo.
Ad ogni modo, i Demetra’s Scars sono godibili ed il pubblico apprezza gli sforzi che sia la cantante che il gruppo protraggono incessantemente per tutto il set.
Una nota di merito va proprio alla cantante: ottime doti vocali, una buona potenza e non scade troppo nel cercare il confronto con il growl , tecnica vocale nella quale altre riescono sicuramente meglio – ma lei, in nessun caso, sfigura.
Brava ed equilibrata nella gestione della voce nelle canzoni.
I quattro si godono un meritato abbraccio di folla, che non ha mancato di omaggiare la molto buona performance.
Ma si aspettano le 22.30 come l’arrivo di una notizia, di una cosa bella, di un regalo che sai che ti farà piacere perché è quello che vuoi.
E con i Jinjer così è.
In un set di un’ora e mezza, i ragazzi partiti dall’Ucraina una decina di anni fa dimostrano ancora una volta che tutti i crediti e il valore che li ha portati a suonare sui più grandi palchi del mondo, sono ampiamente meritati e non solo frutto di un’ottima strategia di marketing.
L’attenzione è focalizzata su Tatiana Shmayluk ma sarebbe ingiusto non dare valore anche ad un muro sonoro potentissimo che è stato fatto cadere pesantemente sul pubblico del Bum Bum Festival grazie ad una band granitica.
I Jinjer portano in scaletta 13 pezzi eseguiti senza tregua, senza dare respiro al pubblico e all’impianto audio.
La prima mazzata arriva con ‘Teacher, Teacher!‘ ed il pubblico è già in delirio.
I brani si susseguono furiosi e l’immobilità del chitarrista e del bassista vengono ampiamente sopperite dalla mai ferma interpretazione visiva dei testi delle canzoni da parte di Miss Shmayluk.
Succedono brani intimisti come ‘On the Top‘, ‘Pit of Consciousness‘ e ‘I Speak Astronomy‘, per poi toccare temi più violenti con ‘Judgement (& Punishment)‘ e la rabbiosa ‘Sleep Of The Righteous‘.
‘Call me a Symbol‘ è molto catartica sulla dualità che caratterizza molte persone e che non la sanno gestire o, purtroppo, non sanno farlo nel miglior dei modi.
‘Perennial‘ e ‘As I Boil Ice‘ sono il preludio di quella ‘Pisces‘ che è diventato il loro brano più iconico, ma non il più coerente della loro produzione musicale.
Pausa per riprendere fiato che anche al pubblico inizia a mancare, nonostante la fresca giornata d’agosto, e si riparte.
I Jinjer tornano sul palco con la profetica ‘Home Back‘, scritta molto prima dell’inizio della crisi russo-ucraina eppure così attuale.
La band non nascondono il proprio supporto alla loro terra d’origine né le difficoltà oggettive del ricongiungersi con i propri famigliari: ringraziano sinceramente il pubblico italiano per il supporto ricevuto grazie anche alla loro campagna di donazioni per la popolazione ucraina.
‘Vortex‘ ci accompagna con un crescendo verso il finale di questo evento, segnato dalla conclusiva ‘Colossus‘ durante la quale vengono sparati gli ultimi ruggiti violenti e potentissimi di quella che a tutti gli effetti è una performance intensa e senza punti morti.
Un’ora e mezza di musica che porta la cantante Shmayluk ad un evidente stato di stanchezza emotiva e fisica ma che non ha avuto battute d’arresto.
Il pubblico è stato fantastico, sia per la numerosa risposta in fatto di presenze sia per la varietà: famiglie, coppie, metallari di ogni età che hanno approfittato di un evento gratuito per assistere ad una grande performance.
Il palco del Bum Bum Festival è di una dimensione adeguata e nonostante sia in fondo la collinetta di un parco, la visibilità risulta ottimale per tutti gli spettatori.
La cosa che più colpisce già dalla prima nota è la potenza dell’impianto, che restituisce al pubblico un suono di qualità.
Che, con i Jinjer, si è tramutato in qualcosa di deliziosamente devastante.