James Blunt live a Roma: l’interpretazione del pop moderno
Piacevolmente stupito. Davvero.
Se è possibile azzardare un paragone letterario, James Blunt ricorda la madelein di Proust all’interno del suo “À la recherche du temps perdu“.
Le premesse per la serata del 12 novembre al Palalottomatica di Roma potevano creare qualche pensiero prevenuto: troppo tirato a lucido da sembrare patinato per essere una rockstar.
Eppure James Blunt, forte dei suoi sei anni di carriera militare in guerra che hanno contribuito a dargli una sicurezza scenica quasi fisico-teatrale, rivela delle doti dal vivo davvero stupefacenti.
Non solo la forza delle sue canzoni non sembra essere scalfita dal passare degli anni, ma anche la dimensione live si rivela robusta dal punto di vista interpretativo.
Questo suo tour, che lo ha portato accompagnato da una solida band in giro per gli Stati Uniti e ora in Europa, presenta tutte le sue ballate più famose come ‘High‘, ‘Goodbye My Lover‘, ‘1973‘, ‘You’re Beautiful‘ e ‘Wisemen‘.
Ma non solo.
Blunt ha dimostrato di avere la capacità di scrivere davvero ottimi e leggeri pezzi pop come ‘Stay The Night‘ o ‘Heartbeat‘, o affrontare anche tematiche politiche come in ‘Someone singing alone‘ e ‘Carry you home‘.
Nel panorama musicale odierno non è affatto qualcosa di semplice: la musica pop è diabolica in questo perchè può trasformare un signor nessuno in una star ma poi sbatterlo nel frullato omogeneo che associa musicalità diverse.
Invece qui ci troviamo di fronte ad un uomo che ha vissuto esperienze di vita forti (la guerra in Kosovo è qualcosa che ha lasciato traccia nei suoi occhi e ha ancora riverberi nelle sue canzoni), e oggi ha voglia e bisogno di esprimere attraverso le note qualcosa di più emotivo.
I sentimenti non sono qualcosa solo per le ragazzine, è il modo con il quale si raccontano che ti può trasformare in un artista.
Non tutti se ne sono accorti subito, ma ricordo le parole di apprezzamento con le quali Elton John diede il benvenuto a James Blunt nel panorama pop mondiale – «Non sentivo una simile voce dagli esordi di Cat Stevens».
L’ultima annotazione è per la voce: davvero suadente e affascinante.
Come su disco.
Lui stesso la definisce quasi femminile in alcune estensioni.
Ma al di là dell’aspetto tecnico, l’aggettivo con cui mi piace definirla è ventosa.
Come quella leggera brezza che scuote i capelli di una bella ragazza addolcendone lo sguardo, senza scadere nel miele.
Insomma, il sig. Blunt e la sua chitarra ci sanno fare e lo hanno sapientemente mostrato nella prima tappa del tour italiano.