Iron Maiden, ritorno al futuro
È un sabato particolare per chi risiede tra San Siro ed il Gallaratese, un sabato in cui nei due ippodromi presenti in zona è previsto l’arrivo di quasi 100.000 persone, che si divideranno (nemmeno troppo equamente) tra le due manifestazioni previste per oggi.
E mentre il pubblico indie si sta radunando presso l’ippodromo SNAI La Maura dove è prevista l’ultima giornata degli I-DAYS con gli Arctic Monkeys, il popolo metal pellegrina allegramente verso l’altro ippodromo, quello Piazzale Lotto – location prescelta per ospitare la data milanese dell’attesissimo “The Future Past Tour” degli Iron Maiden, attesa resa ancora più spasmodica dopo la cocente delusione dello scorso anno, quando il concerto degli Iron a Bologna venne annullato all’ultimo secondo causa maltempo.
Considerati i 35°C ed il cielo sgombro da nuvole inquietanti, diciamo che almeno per questa volta il maltempo non dovrebbe metterci il becco, se non per costringere qualche decina di migliaia di persone a subire una cottura a fuoco lento sotto un sole simil-africano, in una spianata completamente priva di ogni parvenza di ombra.
Lo show dei Maiden è previsto per le 21:00, ora sono solo le 16:00 e per riempire le cinque ora che ci separano dagli headliner sono state chiamate ben quattro band, tra cui i The Raven Age, i primi a salire sul palco dell’Ippodromo SNAI San Siro.
Come penso sappiate tutti, The Raven Age è il gruppo di George Harris, il figlio di Steve.
Sono oramai diversi anni che questa band viene chiamata ad aprire i concerti degli Iron: vera gloria o nepotismo che sia, il gruppo ingrana subito bene e sfrutta i tre quarti d’ora concessi con del sano heavy metal a tinte melodiche, forse un pelo ripetitivo nella struttura di pezzi, ma più che adeguato per aprire una kermesse di queste dimensioni.
In scaletta notiamo una prevalenza di brani tratti dal loro ultimissimo album “Blood Omen”, tra cui citerei ‘Nostradamus’ e ‘Paraste’, su cui ben risalta la voce di Matt James ma soprattutto il lavoro alle chitarre di George Harris e del relativamente nuovo acquisto Tommy Gentry.
Un rapido cambio di palco consente agli ospiti successivi di presentarsi in perfetto orario (le 17:00) all’appuntamento con il pubblico milanese: si tratta dei finlandesi Blind Channel, gruppo tipicamente nu-metal noto per aver partecipato all’Eurovision Song Contest del 2021, l’edizione poi vinta dai Maneskin.
La loro proposta musicale non prevede grandissima originalità, siamo in pieno territorio Bring Me The Horizon/Linkin Park, anche se la street-credibility di questi ultimi i Blind Channel se la possono sognare di notte.
Diciamo che a questa carenza di particolare originalità sopperiscano con l’impatto visivo della loro performance, che sarà senza dubbio risultata gradita al versante più giovane dell’audience accorsa all’Ippodromo.
Solo che al ventottesimo «jump! jump! jump!» ho jumpato anche io, precisamente in direzione bancarella della birra.
Sul fatto che stilisticamente fossero un pelo fuori luogo in questa serata, non possiamo certo addossarne a loro la responsabilità.
Nel frattempo, sono arrivate le 18:00, il sole è ancora alto in cielo ma dal punto di vista musicale le cose iniziano a farsi decisamente più interessanti con l’ingresso in scena di Simone Simons e degli Epica, che infiammano fin da subito il pubblico con una micidiale ‘Abyss Of Time / Countdown To Singularity’.
Essendo passati da Milano non più tardi di 4 mesi fa (il 19 marzo al Fabrique) non stupisce come lo show odierno ricalchi, in versione abridged per questioni di tempo, proprio il concerto di marzo.
Scorrono così le varie ‘Victims Of Contingency’ e ‘Unleashed’, a cui segue la sempre gradita ‘The Final Lullaby’ che sfocia poi in ‘The Skeleton Key‘. Dopo una bella versione di ‘Beyond The Matrix’ il set si avvia verso un’epica (no pun intended) conclusione con una monumentale ‘Consign To Oblivion’, uno di quei brani che citerei se dovessi spiegare a qualcuno il concetto di ‘symphonic metal’.
Iniziano a calare (molto, molto timidamente) le prime ombre della sera, si sono fatte le 19:15 ed il programma della serata prevederebbe che sul palco si palesino gli Stratovarius.
Dico ‘prevederebbe’ perché in effetti di Kotipelto e compagni non vedremo manco l’ombra fino alle 20:00, quando finalmente riescono ad arrivare on stage per eseguire due-pezzi-due, ‘Black Diamond’ e ‘Hunting High And Low’ prima di fare la foto di rito col pubblico, salutando tutti e lasciando lo stage in mano ai tecnici che devono preparare il terreno per l’ingresso in scena degli Iron Maiden.
Una persona dell’organizzazione sale comunque sul palco per spiegare i motivi della brevissima esibizione degli Stratovarius: sono arrivati giusto cinque minuti prima di entrare in scena perché causa scioperi il loro volo è stato annullato, han dovuto volare su Zurigo, e da Zurigo affittare un van per arrivare fino a Milano, peccato che detto van sia finito in panne e quindi ulteriore perdita di tempo per avere un mezzo sostitutivo.
Per ovvi motivi l’orario dello show dei Maiden non era in alcun modo modificabile, di qui la necessità di ridurre ai minimi termini la performance dei finlandesi, che probabilmente concorreranno per il guinness dei primati con il concerto più breve della storia.
Il sole si decide finalmente a tramontare proprio mentre dal PA parte ‘Doctor Doctor’ degli UFO, l’inequivocabile segnale che preannuncia l’ingresso in scena degli Iron Maiden, che irrompono sul palco con una memorabile ‘Caught Somewhere In Time’: era dal 1987 che non veniva eseguita dal vivo, il che giustifica ampiamente l’enorme entusiasmo che immediatamente pervade i 35.000 presenti qui all’Ippodromo.
Bruce, capelli tirati indietro, occhiali cyberpunk e spolverino stile Blade Runner sembra uscito dall’immaginario di Philip K Dick, in perfetto abbinamento con la futuristica ambientazione con cui è stato allestito il palco.
Ma, look a parte, canta da paura, ed esercita un controllo pressochè totale sul pubblico, mentre la straordinaria macchina da guerra strumentale che gli sta dietro macina riff come non ci fosse un domani.
Steve Harris, reduce dal concerto della sera prima al Legend Club con i suoi British Lions pare fresco come una rosa.
Si è fatto un gran parlare delle performance non eccezionali di Nicko McBrain alla batteria, ma a me questa sera è parso totalmente sul pezzo.
La premiata ditta Smith/Murray è sempre e comunque garanzia di qualità, ed anche questa sera non si smentiscono.
Alla fine, spezzerei una lancia anche nei confronti del buon Janick Gers, i cui funambolismi di scena solitamente ne fanno passare in secondo ordine le capacità tecniche, ma che è pur sempre un gran chitarrista, di quelli che ‘avercene di chitarristi così’.
‘Stranger In A Strange Land’ ed ‘Heaven Can Wait’ mi riportano con la mente a quando il “Somewhere On Tour” toccò Milano nel lontano dicembre del 1986 al PalaTrussardi, solo che in quell’occasione l’altro pezzo da 90 di quell’album, ‘Alexander The Great’, brillò per la sua assenza.
Anzi, per dirla tutta, quel pezzo continuerà a brillare per la sua assenza fino al 28 maggio 2023, quando nel corso della prima data del tour, a Lubjana, viene finalmente eseguita per la prima volta.
E questa sera tocca anche a noi poterla sentire finalmente dal vivo.
Sappiamo perfettamente che gli Iron non sono usi vivacchiare sui propri allori, e se da una parte han reso fan-service riesumando parte dello spettacolare tour del 1986, dall’altra non dimenticano l’attualità lasciando ampissimo spazio anche all’ultimo album, “Senjutsu”, da cui ci vengono proposti ben 5 brani, dal singolo ‘The Writing On The Wall’ a ‘Time Machine’ e ‘Days Of Future Past’ che ben si adattano al tema del tour corrente, passando per una bellissima ‘Death Of The Celts’, lasciando ad ‘Hell On Earth’ l’onore di aprire la sezione di concerto dedicata agli encore.
In scaletta comunque troviamo anche ‘Can I Play With Madness’, una graditissima ‘The Prisoner’ da “The Number of The Beast”, e le immancabili ‘Fear Of The Dark’ ed ‘Iron Maiden’ con cui si chiude il main-set.
Nei bis oltre alla già citata ‘Hell On Earth’ non poteva mancare ‘The Trooper’ mentre il gran finale viene lasciato a ‘Wasted Year’, che chiude l’ennesima prova di forza di una band che dell’heavy metal non solo ha fatto la storia, ma che in tutta franchezza, ne rappresenta ed incarna lo spirito come nessuna band probabilmente potrà mai fare.