Il pop visionario, sperimentale e lisergico dei Vanishing Twin
Sensazione di vuoto e di abbandono, costante sentimento di solitudine, tristezza, sensi di colpa. Tendenza alla depressione, impressione di non trovare mai il proprio posto nel mondo e di vivere sospesi, oscillazioni tra paura e ricerca spasmodica del contatto fisico. Come per il contatto fisico così per la morte. Senso di incompletezza che si cerca di colmare attraverso le relazioni. Vivere costantemente con la spada di Damocle dell’abbandono sulla propria testa.
In alcuni casi, ricerca di fuga o sollievo nelle dipendenze e negli abusi.
Sono alcuni dei sintomi della Sindrome del Gemello Fantasma, conseguenza di un evento abbastanza comune nelle gravidanze gemellari. Avviene quando uno dei due embrioni muore durante le primissime fasi di formazione, non si impianta nella parete uterina ed è espulso. Le evoluzioni delle tecniche di indagine diagnostiche hanno consentito di verificare che circa il 10% delle gravidanze iniziano con la fecondazione di due embrioni, ma i parti gemellari sono l’1%. Ne consegue che circa il 9% delle persone, quasi una su dieci, vive l’esperienza della morte intrauterina di fratelli e sorelle e rimane abbandonata per nove mesi prima di nascere. Pur non avendo registrato in memoria questo evento, porterà dentro di sé un vuoto di cui non riuscirà a capire l’origine. L’aver vissuto in unione con uno o più gemelli e averne subito la perdita, segnerà in modo decisivo il “copione di vita”
“Vanishing Twin” è il nome inglese di questa sindrome e Cathy Lucas, tastierista e cantante dell’omonima band, ha vissuto questa esperienza.
Tornano in Italia a distanza di due mesi e mezzo, per due date a Roma e Avellino. Sul palco trasteverino dell’Alcazar presentano il loro quarto lavoro, “Afternoon X”, uscito per Fire Records, tra le più importanti etichette indipendenti a livello mondiale. Il disco è prodotto da Marta Salogni, astro affermato, e non più nascente, del sound engineering, già dietro al mixer dei suoni con i Bjork e Depeche Mode.
Partita come un quintetto, la band oggi è diventata un trio multiculturale. Cathy Lucas è un melting pot anglo/franco/belga; Valentina Magaletti, alla batteria, italiana di nascita e naturalizzata britannica; infine il bassista, Susumu Mukai, viene dal Giappone. Li accompagna in tour Arthur Sajas, chitarra elettrica, cori e flauto, che, dopo accurato stalking sui vari social network, intuisco essere francese.
Incurante dei pericoli della curiosità, mi avvicino al palco e prendo nota del sampler e sequencer Roland Spx 404 MkII, di quello che potrebbe essere un Microkorg, di un pedale loopstation.
Affiancato al Roland un multieffetto Eventide, per i giocare con riverberi, modulazioni e armonici in tempo reale. Accanto alle postazioni dei musicisti spiccano maschere rosa. Le premesse per una serata interessante ci sono. La serata è annunciata sold out è alle 21, Sandro Ciotti parlerebbe di sala è gremita in ogni ordine di posti.
A Roma c’è vita oltre la carbonara.
Il concerto inizierà piuttosto presto, data la presenza di altro evento a seguire, la fine del live è prevista per le 22.30.
Dall’ascolto dei dischi della band, i riferimenti artistici e musicali sono piuttosto evidenti. Una interessante sintesi e rielaborazione di elementi che arrivano dalla psichedelia, dal dream pop, dal krautrock, anzi, per dirla meglio dalla “kosmische musik” tedesca. Atmosfere surreali e sospese. Un liquido amniotico di sonorità, talvolta oscure, altre volte suadenti, adatte a recuperare ricordi di vita intrauterina, dalla quale improvvisamente ci si ritrova catapultati a esplorare i territori dell’afro-jazz e della libera improvvisazione
21.15 è il puntuale inizio della performance. Prima parte dedicata quasi interamente ad “Afternoon X”. All’introduzione fiabesca di ‘Melty’ segue, come da disco, la title track dell’album. Si entra subito nei mondi della psichedelia, riverberi e giochi con il sampler. Basso e batteria minimali, ipnotici e ostinati, voce sussurrata e suadente. Le sonorità e il timbro della voce di Cathy Lucas, i Vanishing Twin si inseriscono nel solco musicale tracciato dagli Stereolab, dei quali si propongono come credibili e autorevoli eredi.
‘The Conservation of Energy’, è un salto in “Choose Your Own Adventure” (2016). L’universo è dream pop. L’intro di flauto su un morbido tappeto di synth regala tonalità rosate e vaporose. Il brano sfuma e confluisce nell’intro di ‘Lazy Garden’. Qui gli strumenti si prendono maggiore libertà improvvisativa, fluttuando, richiamandosi in un gioco di botta e risposta tra batteria, flauto, percussioni e giochi di piano elettrico. Mentre Cathy Lucas canta quella che potrebbe essere la filastrocca di una bambina felice di abbandonarsi pigramente alla scoperta di un bosco incantato, tra fate e folletti provenienti dai cancelli dell’alba di Syd Barrett.
A seguire, spazio nuovamente concesso ad “Afternoon X” con ‘Lotus Eater’, che prende abbrivio sull’onda di influenze jazz sperimentali. Libere improvvisazioni iniziali interrotte dall’entrata del basso di Mukai, mentre Valentina Magaletti che esplora le possibilità sonore del suo strumento e l’energia del pezzo si espande come idrogeno e plasma interstellare. La band fa uso generoso di reverberi e delay, loop e harmonizer. È musica da vivere in silenzio, e purtroppo, Roma è una circostanza difficile da realizzarsi. A causa di quattro tipici esemplari di fauna locale, seduti a un tavolo e convinti di stare da “Cencio Alla Parolaccia” mi sposto dal mio punto osservazione.
Perdo qualcosa in qualità di ascolto e visione, ma ne acquisto in emozioni.
Con ‘Marbles’ sperimentazioni art-rock e suoni “settantiani” di hammond zampillano qua e dietro l’impalcatura di un basso distorto e sequenze elettroniche, impalcature portanti di un palazzo di suono, dalle cui finestre fanno capolino svolazzi di onomatopee vocali che si fanno via via ossessive.
Il brano più ostico della serata è ‘The Organism’, estratto da “Ookii Gekkou” (2021), che in giapponese vuol dire “Gran Chiaro di Luna”. Fanno la loro comparsa le maschere rosa, che Cathy Lucas indossa sulla nuca, per poi voltare le spalle al pubblico. Sequenze a pioggia, voce umanoide a declamare il testo: “And so I emerged from this quantum field. What is this simulation, and why am I here? I have hands and I have eyes, and I have things inside me. I pulse so strangely”. Campionamenti visionari, elettronici, rumoristici. Immagino uno scenario post apocalittico, in un mondo diventato preda di virus e microorganismi che iniziano la loro scalata evolutiva muovendo il primo passo verso l’autoconsapevolezza.
Dopo un brano del genere, ‘Telescope’ è un delicato massaggio sulle tempie. Ancora dream pop dei più dolci, una voce leggera ed eterea che si libra in una melodia limpida, lineare e carezzevole, avvolta in un giro armonico intessuto da tastiere e synth. ‘Floating Heart’ prosegue l’alternanza leggerezza-complessità. Basso ossessivo e minimale, suonato con tapping sul registro acuto. Batteria in piena improvvisazione, frenetica e nervosa. Là dove psichedelia e jazz si incontrano. A seguire il “motorik” implacabile e inarrestabile della batteria di ‘Life Drummer’, singolo uscito poco più di un mese fa, che richiama il krautrock dei Neu! (per i puristi ortografici il punto esclamativo è parte del nome). Valentina Magaletti spacca il beat in quattro per precisione e capacità di tenere il tempo e Susumu Mukai non è da meno.
‘Cryonic Suspension May Save Your Life’, da “The Age of Immunology” (2019) ha una lunghissima intro strumentale, con cassa dritta, fill di batteria, inserti elettronici in controtempo. Addensamenti e dilatazioni, sonorità elettroniche fine anni Settanta con il wah wah sui suoni puliti della Gibson Sg di Arthur Sajas. Si chiudono gli occhi, come per galleggiare in una vasca di deprivazione sensoriale durante un viaggio dentro sé stessi. ‘Subito’ è l’ultimo estratto da “Afternoon X”. Valentina passa dalla batteria alle tastiere.
Il basso elettrico arpeggia su note alte il canto puro ed etereo sotto le tastiere a creare tappeto. Ci salutano, ma è il momento dei bis.
I due pezzi del bis sono estratti da “The Age of Immunology”.
‘You Are not an Island’ è l’attesa durante un sogno. Dream pop e psichedelia, rarefazioni, uso dell’elettronica intelligente e creativo. Ritornano dei flauti alla King Crimson prima maniera. Atmosfera magica con Cathy Lucas che chiude imbracciando una chitarra. Ma quando sembra finito arriva un segnale dalla batteria. Basta una rullata e il pezzo decolla in giravolte e spire di fumo color fucsia e arancione. Si chiude con ‘Magician Success’ ribadiscono, se ce ne fosse ancora bisogno, l’importanza degli Stereolab nella determinazione delle loro coordinate artistiche. Atmosfere retrò, con suoni del mellotron a fare da tappeto a una sezione ritmica funkeggiante, la chitarra che lavora sul pedale wah wah e la voce armonizzata che si fonde e si perde in quest’amalgama sonora.
Mi intrigavano i Vanishing Twin, ero curioso di scoprire se avrei ritrovato dal vivo la sensazione psichedelica di sospensione a mezz’aria sperimentata ascoltando la loro musica e così è stato.
Torno a casa arricchito e rinfrancato dall’esistenza di una realtà come Unplugged in Monti che continua a sfornare proposte di primo livello dell’alternative internazionale, al di fuori dei circuiti mainstream.
Tra le mani ho una bella locandina dell’evento realizzata appositamente dagli organizzatori.
Negli occhi, invece, conservo l’immagine della batteria color rosa, la shopper bag gialla sul rullante e gli sguardi d’intesa tra Valentina Magaletti e Susumu Mukai durante la performance.
Quasi dimenticavo: un concerto che inizia alle 21.15 e una sala piena già fin dalle 21.
Si può fare benissimo, anche a Roma.
Roma, 29 febbraio 2024