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Turn ON Music

Il nuovo corso di Shabaka Hutchings

Dai Sons of Kemet alla musica cosmica

Al Monk di Roma, il musicista inglese presenta il suo nuovo progetto

Roma, 03 Novembre 2024 | Ph © Giulio Paravani

Shabaka Hutchings è inseguito da un destino paradossale legato ai suoi concerti a Roma. Con i Sons of Kemet ha tenuto un concerto in cui era impossibile tener fermo il corpo, ma davanti a un’ordinata platea di persone incollate alla sedia. Stasera è davanti un pubblico in piedi, libero di muoversi, ma la sua musica è ora ideale colonna sonora di un viaggio all’ interno della propria interiorità.

Un’ora e quaranta di abbandono a visioni e immagini che prendono forma dalla spiritualità individuale; una sedia sulla quale accoccolarsi agevolerebbe questo percorso. Il primo capitolo di “Come Funziona la Musica” di David Byrne dovrebbe essere reso obbligatorio per tutti i promoter e gli organizzatori di concerti.

Per quanto mi riguarda, ho fatto appena in tempo nella mia vita ad ascoltarlo nel progetto Sons Of Kemet. Poche settimane dopo la sua esibizione alla Casa del Jazz, nel 2022, dichiarava chiusa quell’esperienza artistica, raccontandosi pronto a nuove esplorazioni. Shabaka Hutchings sapeva scegliere i batteristi come Walter Sabatini scopriva i difensori centrali. Nei Sons of Kemet a sedere sul seggiolino erano addirittura in due, e farne parte apriva le porte del successo e dei grandi numeri. Tom Skinner finì con la premiata ditta Yorke & Greenwood, la sua sostituta Jas Kayser sta dando prova del suo talento in tour con Lenny Kravitz; e credo si stia divertendo assai.

Chi si aspettava qualcosa di analogo all’orgia percussiva e travolgente del precedente progetto sarà rimasto, se non deluso, quantomeno sorpreso. Basta con il sax, il futuro e di flauti e clarinetti; e di un’inversione di rotta a 180 gradi ne è riprova il palco di stasera.Le batterie si sono trasformate in arpe troneggianti sulla sinistra del palco. Dietro di esse siedono Alina Bzhezhinska Lazorkina e Miriam Adefris. A destra per chi guarda un pianoforte a coda, una postazione elettronica e synth, suonati da Elliott Galvin e Hinako Omori.

Al centro, un tavolo ricoperto da un drappo rosso sul quale si trovano i flauti di Shabaka, la nuova frontiera della ricerca dell’artista londinese di nascita e caraibico di ascendenze. Tre microfoni, posti a diverse altezze, cattureranno ogni diversa sfumatura di suono dei fiati che utilizzerà. Sul videowall le geometrie colorate a ricordare temi afro.

Ridotte all’osso contaminazioni e sonorità afrocaraibiche. O meglio, presenti, ma inserite in contesti altri; sperimentali, elettronici, new age, classici. Tuttavia, il fine della ricerca spirituale e il viaggio in una dimensione superiore rimane lo stesso. Cambia è percorso attraverso il quale lo si raggiunge. Dalla danza, dalla trance indotta dal movimento, dai chakra della base, si è passati alla meditazione, al silenzio, alla focalizzazione sul mondo interiore. Dal dionisiaco, all’apollineo.

Shabaka Hutchings
Shabaka Hutchings

L’intero concerto è scandito da improvvisazioni in duo, con ogni musicista che lo accompagna. Su di essi si innestano i brani. Saranno soltanto quattro quelli tratti da “Perceive Its Beauty, Acknowledge Its Grace”, datato aprile 2024, il primo album pubblicato con il suo nome e basta. Si passa dall’elettronica alla musica da meditazione. Guarda un po’, ad aprire la serata è proprio ‘Black Meditation’, estratto da “Afrikan Culture”, EP del 2023. In esso il moog si interseca con le arpe, il pianoforte ricama arabeschi, mentre Hutcings disegna pennellate rotonde di suono al clarinetto.

‘As The Planets and the Stars”, il primo brano estratto dalla sua ultima uscita, regala aperture psichedeliche stile ‘Lucy in The Sky’ (sì, proprio quella), ed entra poi in territori contigui alla diade Fripp/Eno, salvo poi, complici le due arpe, andare verso la New Age. C’è chi parla di Cosmic Jazz, può darsi ma non è così importante definirla. Di cosmico c’è l’afflato che pervade ogni armonia, ogni nota, in crescendo ritmici e dinamici che esaltano la personalità del flauto Shakuhachi. E’ lui l’ultimo amore di Shabaka Hutchings; uno strumento giapponese, utilizzato durante le meditazioni, dal quale, a quanto se ne dice, sembra difficilissimo anche solo tirar fuori un singolo suono.

Duetta con Hinako Omori al Moog ed è una preghiera. Atmosfere mistiche, intrise di religiosità naturale, avvolgono il pubblico presente. Il silenzio, rotto solo dai respiri, lenti e profondi, che seguono il ritmo delle ondate del synth. Nessuno telefono si solleva, nessuno smartphone pare si sia lamentato dell’esser rimasto costretto in borse e tasche. Bene così

Shabaka Hutchings

L’influenza della musica colta la avverti chiara e distinta nel duetto improvvisato con il pianoforte di Elliott Galvin. In alcuni momenti sei quasi in grado di distinguere una fuga a canone, che lascia spazio alle due arpe.  Nel file in cui mi appunto le sensazioni del concerto scrivo “foresta magica e incantata”. È un brano inedito, dieci minuti dopo ne scoprirò il titolo: ‘Forest in a Dream’. Ancora reggo botta, bene così

Ci sono brani che funzionerebbero assai come sonorizzazioni di installazioni video o film. Poi, mentre penso di aver ormai individuato e tratteggiato i contorni della serata, arriva la botta: definitiva. Implacabile. Spietata. In piena faccia. Nessun duetto improvvisato, niente synth o arpa, ma un solo con un flauto bicalamo (a doppia canna) polifonico. Il momento dionisiaco della serata. Fiamme, ritmo, danza, energia. Il mondo dei Sons of Kemet che entra dalla finestra accostata sul retro quando pensavi di averla invece chiusa. Urla e ovazioni che sembrano non finire mai.

Poi racconta e si racconta. Shabaka Hutchings apre il suo sorriso, ci rende partecipi della sua centratura, della serenità, e della voglia di ricerca e scoperta. Parla di legame intimo e stretto tra ogni singolo strumento musicale e la sua storia; erede e portatore di una cultura che affonda le radici in secoli di tradizioni, usi, costumi. Nota a margine: racconta di aver ricevuto in dono il flauto a due canne poche ore prima, mentre era in camerino, di averlo imparato a suonare guardando un tutorial su youtube e aver deciso di farci un solo. Tirando fuori il momento più esaltante e intenso di tutto il concerto.

Cultura, tradizioni anche in ‘Tune 1’, in cui il suo flauto traverso baritono, prima duetta con l’arpista dal nome impronunciabile (spero comprendiate, lo faccio anche per voi), poi apre la porta di una stanza dei giochi con sonorità pentatoniche che ci proiettano nell’estremo oriente. Improvvisazioni libere di stampo free jazz conducono in un’altra favola incantata. È la scoperta di una caverna che si apre su un mondo di luce, echi e richiami dei King Crimson di “Lizard e Island” o dei Genesis della trilogia “Foxtrot”, “Selling England…” e “Lamb Lies Down…”.

Shabaka Hutchings
Shabaka Hutchings

Shabaka Hutchings è animato da una profonda ricerca spirituale. Parla più volte di “Spirito”, di viaggio nell’interiorità e nei recessi dell’Anima. Che sia altresì curioso di sperimentare e scoprire novità è testimoniato dalle sue parole a proposito della volontà di scoperta delle tradizioni culturali e musicali italiane, sottolineandone l’importanza e l’attualità e le potenzialità di arricchimento per la sua stessa musica.

Finisce tra le ovazioni, esce e rientra per l’ultimo bis, da solo con il flauto. In trance, posseduto dal suo stesso Spirito, o forse da quello di qualche divinità caraibica associata alla musica. Chiude gli occhi, li chiudo anche io. Niente danze tribali, niente abbandono dionisiaco.  Dal Meng Mein al Chakhra della Corona. Solo l’ascolto profondo, intimo e l’incontro con il nucleo più luminoso della nostra essenza.

Sono riportato sulla terra dall’urlo di un bambino che i genitori che hanno deciso di torturare portandolo con loro al concerto.


Guarda le foto della serata:

 

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