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Il folk salvifico di Robert Plant

Il Teatro Romano di Ostia Antica è l’incantevole cornice che ospita le suggestioni musicali di Robert Plant, in Italia per sette imperdibili date, tutte sold out.
L’atmosfera della serata è unica, resa ancora più affascinante dallo splendido tramonto che ha tinto il cielo di rosso.
Il leggendario leone del rock inglese arriva poco dopo le 21.00: dalle prime note è chiaro che il carisma e il fascino sono quelli di sempre, così come la straordinaria forza evocativa della sua voce.

Plant condivide il palco con la bravissima Suzi Dian (voce, basso e fisarmonica) e i Saving Grace: Oli Jefferson (percussioni), Tony Kelsey (chitarre e mandolino), Matt Worley (banjo e chitarre).
Il gruppo si è formato nel 2019 al pub “Swan” di Stourport-on-Severn, cittadina del Worcestershire, vicino a dove vive Plant, debuttando in una serie di concerti a sorpresa in piccoli locali in Inghilterra, Galles e Irlanda.
Si nota subito l’alchimia tra i componenti del gruppo: sono lì per fare musica e divertirsi, non hanno niente da dimostrare, nessun disco all’attivo da promuovere.

Robert Plant

Robert Plant rende omaggio alle sonorità che lo hanno accompagnato e ispirato nel corso della sua vita.
La scaletta del concerto pesca a piene mani nella musica tradizionale, mettendo in risalto l’eterna passione dell’artista per il folk britannico e americano, gli spiritual e il blues tradizionale.
Si inizia con ‘Gospel Plow‘ (conosciuta anche come ‘Hold On‘), interpretata tra gli altri anche da Bob Dylan, ed eseguita per l’occasione in una versione intima, quasi ipnotica.
Non è un caso che uno dei momenti più emozionanti della serata arrivi sulle note di ‘Satan your kingdom must come down‘, spiritual song le cui origini si perdono nella notte dei tempi, tra le nebbie dense del Mississippi.
Il pezzo viene eseguito in accordatura aperta open G, i due chitarristi si affidano ai lipstick delle chitarre elettriche danelectro baritone vintage 56, e sul finire eseguono ‘In my time of diyng‘, blues/gospel già inciso dai Led Zeppelin in “Physical Graffiti”.

Plant ricorda come da ragazzo le radio inglesi trasmettessero musica spazzatura (come in Italia, del resto), di come fosse stato introdotto da un amico alle blue note, scoprendo la musica delle radici blues americane di Bo Diddley, Howlin’ Wolf, Muddy Waters e di come questa stessa musica avesse influenzato intere schiere di giovani musicisti inglesi, dai Rolling Stones ai Led Zeppelin.
Riscoprire e interpretare musica delle radici è ciò che conta, che siano quelle afroamericane del blues o il folk tradizionale inglese non importa, c’è posto per tutti. La costante ricerca musicale di Plant è al tempo stesso un viaggio e una liturgia nella quale i pezzi dei Led Zeppelin sono scelti e inseriti proprio per essere stati direttamente ispirati da queste tradizioni musicali o essere loro stesse interpretazioni di pezzi tradizionali.

Ad una strepitosa versione di ‘Cuckoo‘ e ‘Too far from you‘, seguono pezzi anni ’60 come ‘Let the four wind bloow‘ di Fats Domino, ‘It’s a Beautiful Day Today‘ dei Moby Grape, ‘Chevrolet‘ di Donovan, ‘Out in The Woods‘ di Leon Russell cantata da Matt Worley.
C’è posto anche per riprendere brani della carriera solista di Robert Plant come ‘Down to the sea‘ dal disco “Fate of Nations” del 1993 e ‘Angel Dance‘ tratto dal disco “Band of Joy” (2010).
I pezzi dei Led Zeppelin sono stati scelti per armonizzarsi con il resto della scaletta senza avere un ruolo da protagonisti.
Si vola sulle note di ‘Friends‘ da “Led Zeppelin III”, resa simile all’originale nell’accordatura aperta con la quale è stato incisa.
Si susseguono poi versioni reinterpretate come ‘Four Stick’ da “Led Zeppelin IV” riarrangiata per l’occasione, e la splendida ‘The Rain Song‘ da “Houses of the Holy” arrangiata stupendamente con i controcanti e la fisarmonica di Suzi Dian, con Robert Plant che sul finale del pezzo da’ prova dell’ottima condizione vocale.

Tra il pubblico spiccano tantissime magliette dei Led Zeppelin e a più riprese Robert Plant scherza citando testi delle loro canzoni più iconiche.
Presentando i Saving Grace recita l’incipit «we come from the land of the ice and snow» di ‘Immigrant Song‘, salvo poi ridere dicendo che ormai il ghiaccio non c’è più.
O come sul finale di ‘Gallows Pole‘, quando infila «Hey hey mama said the way you move» da ‘Black Dog‘.

Mentre il concerto volge al termine, il pubblico è ormai assiepato sotto al palco.
C’è ancora tempo per un’esaltante versione di ‘Gallows Pole‘, ballata traditional reinterpretata e registrata durante le sessioni in Galles.

La serata si chiude con la band abbracciata che canta a cappella ‘I Bid You Goodnight‘ di Aaron Neville, una dolce e sublime buonanotte che stringe il pubblico del teatro romano di Ostia Antica in un forte abbraccio, con il saluto finale di Plant: «ci rivedremo ancora».

Ostia Antica (RM), 03/09/2023

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