IDAYS MILANO 2024 | Queens Of The Stone Age
Milano, 06 luglio 2024
I brividi per il concerto dei Queens Of The Stone Age a Milano, in programma all’Ippodromo Snai San Siro all’interno della rassegna estiva di I-Days Milano Coca-Cola 2024, si fanno sentire e iniziano a far salire la pelle d’oca già dal giorno prima. Un po’ anche di mal di pancia, ad essere onesti.
Tre date italiane erano previste in tre giorni consecutivi. Dopo la partenza col botto del primo concerto a Roma, è arrivato il fulmine a ciel sereno dell’annullamento dello show all’AMA Festival di Romano D’Ezzelino (VI). Tutto ciò che sappiamo sulla motivazione è «illness». Il resto, sono speculazioni e indiscrezioni non confermate che ai seguaci dello stoner rock interessano poco.
Ed è con una certa scaramanzia che i seguaci dello stoner rock si alzano il sabato mattina. Così, come se niente fosse: controllano il meteo, si preparano un pranzo sostanzioso, calcolano quanti soldi potranno investire in bitcoin (pardon, in preziosissimi token), fanno refresh ogni ventisei secondi sulle pagine di tutti i social esistenti (anche sul mitico Google+, se fosse stato ancora vivo) dei Queens Of The Stone Age, di I-Days, degli organizzatori e pure del paninaro del parcheggio. Tutto ciò fino al momento della pubblicazione degli orari dell’evento: conferma indiretta che sì, il concerto si farà, anche se un comunicatino asciutto ed esplicito sarebbe stato più distensivo per i nostri sistemi nervosi (si sa, abbiamo una certa età).
Il programma della giornata è lungo e rilassato, ampie pause tra le diverse esibizioni e il giusto tempo libero per rifocillarsi, passeggiare nelle aree espositive degli sponsor, raccattare qualche gadget e nascondersi da DJ Ringo che sbuca fuori dappertutto: sul palco a lanciare magliette, fuori dallo stand di Virgin Radio a fare meet and greet, sul foodtruck della Findus a friggere il fish and chips. E pure nel presidio del pronto soccorso che ti prova la pressione se hai un po’ di capogiro.
Dopo i Kemama che garantiscono il rispetto della quota tricolore e accompagnano l’apertura dei cancelli, i primi ospiti internazionali a dare una spolverata alle casse sono The Vaccines, figli di quell’ondata di indie rock che negli anni Dieci ha proposto qualche momento di spensieratezza e a cui oggi è stato assegnato il compito di farsi carico dell’intrattenimento leggero. Ed è stato senza dubbio leggero, la gradevolezza dell’effetto nostalgia si mescola con un suono che risulta piuttosto invecchiato e con un’esibizione non troppo consistente, un po’ di decibel in più e un piglio più grintoso avrebbero aiutato il pubblico a rendere maggior giustizia ai loro brani di spicco. Ci saremmo aspettati di ballare di più con The Vaccines, ci siamo limitati ad ascoltare e ad ondeggiare sorridendo al passato che in effetti è un po’ passato.
Le migliori rassicurazioni sullo stato dell’impianto di amplificazione arrivano dai Royal Blood, che si giocano le loro carte migliori sin dal principio e senza nascondersi. Padronanza del palco eccellente, timbro musicale immediatamente riconoscibile, formazione scarna ed essenziale che non permette troppe divagazioni ma che funziona esattamente come ci si può aspettare: la batteria che picchia, il basso che spinge, i pedali che ricamano e gli amplificatori che comprimono, il pubblico rimane spettinato e il carisma della presenza scenica di Ben Thatcher e Mike Kerr va a chiudere il cerchio.
I Royal Blood si confermano un gruppo che piace e sa come farsi piacere, mantenendo il giusto livello di casino e ammiccando senza risultare stucchevoli. Avevamo bisogno di farci scaldare il cuore e le orecchie, per sciogliere la tensione dell’incognita che continuava comunque ad aleggiare su di noi nonostante le rassicurazioni e le vicendevoli pacche sulle spalle, i Queens Of The Stone Age ci sarebbero stati ma solo alle 21.30 ne avremmo avuto la certezza.
E così è stato, fortunatamente. Puntuali, ben sistemati, puliti e sorridenti, i Queens Of The Stone Age si presentano all’orario pattuito, nel luogo pattuito e pronti ad adempiere alla loro missione: portare il verbo dello stoner, magari non quello in purezza dei loro padri putativi e sicuramente imbastarditosi ulteriormente col passare dei decenni, e spargerlo a piene mani sulle nostre capocce, dimostrando al mondo che vale ancora la pena di abbandonarsi allo stordimento.
Il bollettino medico di Josh Homme, innanzitutto, ci dice che sta in forma: sobrio, composto, le giuste movenze senza strafare. Concentrato e interattivo quanto basta per dare un senso di completezza a questo concerto.
Veniamo alla sostanza, senza girarci troppo intorno: il concerto è stato abbastanza breve. A conti fatti, un paio di brani in meno rispetto alla scaletta di Roma ma la comprensione del pubblico è stata guadagnata e meritata sul campo alla luce di un’esibizione assolutamente all’altezza del loro livello di performer che è sempre stato notoriamente elevato.
Possiamo notare due anime di questi Queens Of The Stone Age, che dopo trent’anni in giro per il mondo non possono limitarsi a proporre sempre la stessa minestra e che spezzano la setlist in due blocchi ben identificabili, anche da un punto di vista cronostorico.
Il primo tronco è l’esibizione da salotto: lucida, curata, ben suonata, che se fosse una pettinatura avrebbe la riga in parte e i capelli inamovibili, e che ripercorre la loro storia più recente e ponderata. Il secondo tronco, che prende il volo con ‘Go with the flow’ e arriva fino alla chiusura, è l’aggressione a mano armata. È il suono che non vuole piacere ma che ti stordisce fino al punto di farsi piacere. È la pettinatura sconvolta e sparata del risveglio della domenica mattina. È roba di inizio anni 2000 ma che se avremo la fortuna di ascoltarla ancora nell’A.D.2100 non sembrerà per niente invecchiata.
Il finale è progettato a beneficio di chi ha consumato il cd di “Songs for the deaf” e non può che vederci la carta d’identità dei Queens Of The Stone Age, ma ho il vago sospetto che sia stato di gradimento anche per il resto dell’elettorato e che abbia meritato per tutti l’intero prezzo del biglietto. Un viaggio che inizia con gli schiaffi di ‘You think I ain’t with a dollar, but I feel like a milionarie’, prosegue coi salti sul trampolino elastico di ‘No one knows’ e si chiude con l’headbanging scellerato e psicotropo di ‘A song for the dead’.
Col senno di poi, è valsa la pena di partire per andare a vederli anche solo per questi tre pezzi. Per come sono stati sparati in aria e per l’energia messa in scena da chi era convalescente fino a poche ore prima. Raccomanderei lo stesso ad adepti dei Queens Of The Stone Age e a profani, anche un po’ per la bellezza del sollievo che abbiamo provato dopo essere stati in pensiero per delle lunghissime e interminabili ore.