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Ritratto dei Green Day

IDAYS MILANO 2024 | Green Day

Con parecchia curiosità mi reco a quella che sarà la festa più attesa di tutta l’estate nell’ambito degli I-days Milano. Io e qualcosa come circa altre 70.000 persone vogliamo spegnere le candeline insieme ai Green Day. L’occasione? Festeggiare i trent’anni dall’uscita di “Dookie” e i venti di “American Idiot”.

Il compito di iniziare a radunare il pubblico sotto al palco spetta ai britannici Nothing but Thieves, tra le band più interessanti degli ultimi tempi con il rock energico e vulnerabile di Conor Mason e soci che ci regala una degna apertura di serata.

La registrazione di ‘Bohemian Rhapsody’ dei Queen trasmessa dagli altoparlanti richiama anche gli ultimi distratti e dopo l’immancabile siparietto di Drunk Bunny su ‘Blitzkrieg Bop’ dei Ramones, nel pit arriva la frenesia del trio composto da Billie Joe Armstrong, Mike Dirnt e Tré Cool, supportato dal tastierista Coley O’Toole insieme ai chitarristi Kevin Preston e Jason White.

A mia sorpresa trovo una situazione favorevole sia a livello visivo che sonoro, rispetto alla sofferenza del concerto di Metallica. Con Hetfield  e i suoi, infatti, il palco eccessivamente alto e i megaschermi fatti a puzzle sono stati una difficoltà non indifferente.


Ritratto dei Metallica 2023

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IDAYS MILANO 2024 | Metallica
LIVE REPORT CONCERTO | MILANO 2024

Questa volta sono al settimo cielo, e sempre in quel cielo prende forma la scenografia che riproduce visivamente la copertina di “Dookie”, con tanto di esplosioni, tuoni e nuvole di fumo ricreate da sagome e gonfiabili. Sui megaschermi passano immagini somiglianti a vecchie fanzine pasticciate e ricolorate e testi che ritraggono alla grande l’anima della Pop Art americana tanto cara ai nostri eroi di Berkeley. Proprio al disco del 1994, ormai tra le pietre miliari della discografia della band californiana, è dedicata la prima parte dello show.

«Mamma mia!», urla Billie Joe Armstrong  davanti ai fan, tra le note di una ‘Burnout’ che cantano tutti a squarciagola. Si aprono le danze, o meglio ancora, un grande pogo collettivo. Protagonisti ragazzi e ragazze senza età: dagli adolescenti in piena ormonale a quelli che come me hanno consumato l’album nel mangiacassette della propria auto.

La musica scorre feroce, spettacolare, serrata, mai fiacca, tra staccati hardcore e accelerazioni punk-rock di ‘Having a Blast’, ‘Chump’, ‘Longview’, ‘Welcome to Paradise’, ‘Pulling Teeth’ e ‘Basket Case’.

Un aereo gonfiabile sorvola il pit sganciando bombe (fatte a loro volta da aerei gonfiabili in miniatura), portato in giro a mo’ di enorme palloncino da due tizi dentro costumi da pupazzi che si fanno strada fra la gente. Il segmento dedicato a “Dookie” finisce con un «siamo ancora vivi» in italiano. Nel mentre, il batterista canta ‘All by Myself’ ciondolando sul palco in vestaglia animalier.

Arriva uno dei momenti più attesi e come da copione, all’appello di Billy «Anyone wanna sing here?», una fan sale sul palco a cantare ‘Know Your Enemy’.  Incredula continua a saltare sul palco con le mani sollevate e pare non abbia più voglia staccarsi dalle braccia del cantante.

Prende forma sul palco un’enorme mano che stringe un cuore-bomba: è il momento di “American Idiot”. Billy incita i presenti: «I want to everybody is going crazy because it’s not a party… it’s a CELEBRATION».

Vedo partire le masse impazzite, cantando e ballando di gusto, prendendosi a spallate gli uni con gli altri. Temo per la mia incolumità ma è un attimo e penso: questo è punk rock. È anticonformismo, è irriverenza, è condivisione. È la subliminal mindfuck America e ci pare quasi dovuto farci sentire celebrando quel pop-punk fatto di chitarre tutto cuore e sangue per esorcizzare una realtà fatta di disagi, frustrazioni e ironia che non sono altro che un’esortazione al godersi la vita.

“No war” recita la scritta sul palco per ‘Holiday’: al tempo era l’Iraq, oggi potrebbe essere l’Ucraina. Un’esplosione di stelle filanti rosso sangue (vere) e una pioggia di siringhe (sullo schermo) accompagnano ‘St. Jimmy’. La pioggia fatta di luci a cascate per ‘Wake Me Up When September Ends’. Non voglio svegliarmi, lasciatemi ancora lì a sognare.

I Green Day sono quelli di sempre, suonano come i nostri dischi consumati, gli vediamo come i poster incollati negli armadi in camera nascosti dagli occhi incuranti dei nostri genitori pronti a giudicare. Billie Joe è in stato di grazia, domina letteralmente il pubblico. Lì, in quella folla adorante e devota, ci saluta con ‘Good Riddance (Time of Your Life)’.

Una separazione forzata dopo due ore e un quarto di musica ininterrotta, senza rimpianti e recriminazioni, con la promessa che ci saremo visti presto. Come diceva il grandissimo Bob Dylan «Addio è una parola troppo grossa, così ti dirò solo arrivederci».

Milano, 16 giugno 2024

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