I Diaframma che restano
Prima di Calcutta, di Brondi, del “torniamo a parlare con le periferie” e del rap dei sobborghi, c’erano gli anni ’80 e i compagni del liceo che sognavano di diventare veri punk britannici, senza fronzoli e marchingegni, solo con le canzoni e una città da raccontare.
Siamo a Firenze, fine anni ’70 inizia anni ’80, Federico Fiumani e i suoi compagni sono quei ragazzi che fondano i C.F.S., poi diventati Diaframma.
Il 1 febbraio al Monk di Roma, in un venerdì sera piovoso, la sensazione è quella di stare in sala prove con Fiumani e la sua band, in piena jam session, senza architetture né sceneggiature da palcoscenico ma con l’urgenza di suonare per esorcizzare qualcosa.
Voce graffiata, malinconica e sonorità fedeli new wave anni ’80 con una sana imprecisione che dona verità alla musica, la musica testarda e sfrontata dei Diaframma.
«I nostri occhi impauriti al chiarore del petrolio bruciato», storico ritornello dell’ancor più storico pezzo ‘Siberia‘ (caposaldo del rock italiano) arriva come un vinile impolverato ma mai passato di moda, in apertura concerto.
Un rock senza tempo, decadente ma forte che unisce le diverse generazioni del pubblico, richiamando involontariamente i fantasmi di ognuno.
Chitarre con echi nostalgici, bassi melodici e una voce che riesce a essere forte senza mai perdere la sensualità.
Il pubblico non è lì per caso: è un pubblico estimatore, conosce a memoria i pezzi e presta attenzione alle parole cantando con devozione.
Anche i più giovani subiscono il fascino di quella musica che arriva al primo ascolto.
A memoria, infatti, gli storici singoli come ‘Gennaio‘, pezzo dalle venature più punk, ed è subito pogo con «Parte dei soldi li spesi in assoluta allegria quella stessa con cui li avevo guadagnati» ma anche ‘Blu Petrolio‘ arriva immediato con quella «Violenza su di noi abuso di potere», passata ma tremendamente attuale che riesce a infuocare le prime file del pubblico fedele.
Poche parole di intermezzo tra un pezzo e l’altro, non è una musica da spiegare quella dei Diaframma, arriva senza pretese di esserci ma si impone tra i suoni grezzi senza tempo.
Cuori aperti e occhi lucidi.
Arriva il momento più struggente del concerto con il binomio Diaframma e amore.
La figura femminile nelle canzoni di Fiumani sembra essere una musa tormentata e ispiratrice.
Arrivano una dietro l’altra, senza pause né riposo, come un trittico di poesie : ‘Labbra Blu‘, ‘Diamante grezzo‘, ‘Io ho te‘.
«Mi sveglio la notte col cuore gonfio come fatto di botte… ho te, ho te».
Ci si abbraccia come nei concerti di un tempo, a cantare lo stesso tormento che unisce.
Qualcuno chiede anche il bis.
Amore e musica senza progettualità restano, fedelmente, l’ispirazione di Fiumani ,come lui stesso afferma durante il live:
«Quest’estate ero in tour e si parlava di progettualità, di quanto sia fondamentale, io vi dico che le mie canzoni nascono senza progettualità, come l’amore, ma sono ancora qui».
Ed eravamo ancora lì, a fine concerto, a cantare ‘I ragazzi stanno bene con l’angoscia delle vene‘, singolo estratto dall’ultimo album “L’Abisso” che ripercorre la storia del gruppo insieme a nuovi inediti (leggi qui la recensione al disco).
Abisso che si insinua a gamba tesa nelle corde vocali del pubblico.
Tutti cercano il sotto palco per attingere dalla linfa del frontman che sembra avere pozioni e tormento insieme.
Istinto e armonie immediate, disinteressate a seguire qualsiasi tipo di moda, questo il fil rouge che attraversa la storia e il live dei Diaframma sia nei pezzi storici che nei nuovi, più spensierati ma mai banali come ‘Così delicata‘ e ‘Luce del giorno‘.
Qualcuno diceva non si esce vivi dagli anni ’80 ma in questo caso si esce con storie vere.
Le stesse che hanno regalato un concerto breve, intenso e senza caricature.
«Suonate ancora», gridava qualcuno dal pubblico, e i Diaframma suonano ancora, anche senza tv e CD “paraculi”.