Hugo Race live a Firenze: una carezza blues
Il 10 dicembre a Firenze al Circolo Arci il Progresso va in scena Hugo Race.
Lo incontriamo fuori dal locale prima del concerto, look total black, cappellino di lana in testa e il sorriso cordiale che lo contraddistingue: giusto il tempo di scambiare due battute, ci saluta e raggiunge il palco.
La sala piccola ma accogliente, si riempie velocemente e mentre aspettiamo che il leader dei True Spirit e dei Fatalists salga sul palco, siamo tediati da una brutta quanto fuori luogo musichetta latino americana.
Poco prima delle 22.30 in sala si abbassano le luci, Hugo Race sale sul palco accompagnato da Antonio Gramentieri, chitarrista e compositore di Sacri Cuori, e ci accoglie con un «Buonasera».
Sarà un concerto di solo voce e chitarra: la parte ritmica é data da un pad sul quale Hugo tiene il ritmo con i piedi, e come ogni moderno one-man-band si serve di una loop station per incrociare suoni e accordi.
Seduto su una sedia con una fiammeggiante Gretsch semi acustica rossa tra le mani ed una voce bassa e profonda, inizia a cantare ‘Wildcards’.
Si capisce subito che l’impianto della sala non è un granché: la chitarra di Gramentieri non sembra neanche amplificata e ogni tanto graffia in spia.
Soprattutto, in alcuni pezzi è troppo presente rispetto alla compostezza delle ballate proposte, ma Hugo Race con la sua voce quasi spezzata riesce comunque a creare una sorta di magia.
La versione di ‘Happen’, dove la chitarra di Gramentieri diventa meno protagonista, rende ad esempio la sala intima e totalmente catturata dal calore della voce di Race.
L’atmosfera blues che ne nasce é quella dei fumosi club americani che si vedono nei film, e quando arriva il turno di ‘Love Blues’ di John Lee Hooker, la platea è ormai totalmente conquistata: le ultime note della canzone, interpretata in modo del tutto personale, si dileguano tra gli applausi del pubblico che viene subito incalzato da una nuova energia, quella di ‘I’m on fire’.
La cover di Bruce Springsteen è molto apprezzata, suonata con maestria e con un arrangiamento che la fa piacere anche alla sottoscritta, che non è mai stata una fan del Boss.
«Sono viaggi particolari tra Johnny Hooker e Bruce Springsteen, in questo senso il tempo é relativo, dipende dal cuore», pronuncia in un italiano timido ma efficiente.
Siamo ormai in pieno concerto quando Hugo parla di un nuovo progetto, e dice che al momento, sempre con Antonio, sono in sala di registrazione: ci regala una manciata di quei pezzi, molto intimi e malinconici, per poi tornare con una bella versione di ‘Break’ en’ ad un’atmosfera più ritmata.
È arrivato il momento di abbandonare il palco tra gli applausi dei presenti ma dopo pochi minuti di pausa Antonio Gramentieri, rientrato sul palco, introduce nuovamente il musicista australiano.
Il bis concesso dall’ex Bad Seeds è composto da tre pezzi, tra cui una meravigliosa ‘Night Vision’, brano contenuto in “The Fatalists” (2010), sul quale chiudendo gli occhi e lavorando di fantasia ci si trova ad attraversare le longilinee strade americane a bordo di una macchina decappottabile, con l’aria che accarezza i capelli e senza alcuna fretta di raggiungere la destinazione.
È mezzanotte, il concerto è finito e Hugo e Antonio ringraziano il pubblico prima di tornare dietro le quinte.
Mentre la gente inizia ad abbandonare le proprie sedie, il cantautore australiano torna nuovamente sul palco, sicuramente contento dal calore e dall’accoglienza ricevuta dal pubblico, e regala un ultimo bellissimo brano per augurare la buonanotte: ‘Cry me a river’.