Hooverphonic, l’anima venduta al pop
Brescia, 23 marzo 2019
Si registra il soldout per il concerto degli Hooverphonic alla Latteria Molloy.
Il gruppo belga, il cui nucleo storico è composto da Raymond Geerts e Alex Callier, ha vissuto recentemente un cambio di formazione con l’ingresso della cantante Luka Cruysberghs, ed è in questo assetto che è stato pubblicato nel 2018 l’album “Looking for stars”.
Un grande successo di pubblico per tutti e tre i concerti in Italia, che non si lascia sfuggire l’occasione di ascoltare le eclettiche sonorità della band.
Si posizionano lentamente sul palco, gli Hooverphonic, e la voce melodica entra da lontano, creando subito un contrasto tra tonalità basse e alte con ‘Concrete skin‘.
L’inizio è molto calmo, molto chill, l’impatto è quello di qualcosa che ricorda i Morcheeba ma con una voce giovane e angelica, che si eleva su un basso consistente e la chitarra che si fa sentire a colpetti.
Cresce il tasso melodico, e il gruppo sembra mettersi a disposizione delle velleità e delle peculiarità vocali della cantante, come entità separate e distanti.
Arriva quasi subito il momento del pezzo di sola voce e blanda chitarra, una sorta di esercizio di stile canoro che generalmente viene proposto nei bis.
Ripescando nei loro trascorsi di pop elegante e raffinato, gli Hooverphonic tirano fuori passaggi di tastiera di stampo orchestrale, allungati nella loro pienezza con ‘Anger never dies‘.
Arrangiamenti retrò come ‘Horrible person‘ permettono a Luka Cruysberghs di sparare in pieno la sua voce, quando invece rallentano e accendono i bassi guadagnano in singolarità e originalità.
Si rischia una sovraesposizione nella cantante, il groove di fondo è a tratti davvero buono ma viene stemperato dalla voce, mettendo in evidenza quanto sia complicata la convivenza tra profondità ed elevazione, come emerge nella bella ‘Jackie Cane‘.
Una lunga gag coinvolge il pubblico in un ‘lalalala’ corale per ‘Hiding in a song‘, prima che gli Hooverphonic riprendano il timbro orchestrale, marcatamente fedele all’originale nonostante tutto, di ‘Mad about you‘, arricchita giusto da qualche escursione ad alta quota.
Qualche deviazione discofunk ed elettropop anni Ottanta, qualche suono composto e articolato che risulta brillante, portano alla chiusura di set col bel giro di ‘Badaboum‘ e ‘Amalfi‘.
Si rientra in modo smorzato, con voce e tastiere per una cover di Thom Yorke e della sua colonna sonora di “Suspiria”, per passare alla totale esplosione della vena trip hop degli Hooverphonic con un altro dei loro classici come ‘2Wicky‘, che vale da sola l’intero prezzo del biglietto, un flashback in quegli anni dorati a metà dei Novanta.
Gli echi e i riverberi trip hop di una lenta e oscura ‘Long time gone‘ dalle melodie sintetiche ci accompagnano alla fine del concerto, con qualche rimpianto per lo spazio tolto alla vera anima della band a favore di un’atmosfera melodica un po’ troppo comune.
Ph. © Giada Arioldi (gallery completa cliccando qui)