Gov’t Mule, il mulo continua a scalciare
Era il 1994 quando Warren Haynes e Allen Woody, rispettivamente chitarra e basso della Allman Brothers Band, s’inventarono i Gov’t Mule, un side-project nato quasi per gioco, giusto per ingannare il tempo nei momenti di inattività dell’astronave-madre.
«Facciamo un disco e poi vediamo», dissero.
A distanza di quasi 30 anni, quel progetto nato quasi per caso si è sviluppato fino a diventare un’istituzione in ambito Classic Rock, una jam band totale, in grado di rubare la scena ai Phish ed alle Dave Matthews Band di questo mondo.
Allen Woody ci ha prematuramente lasciati nel 2000, mentre Haynes è assurto a figura cardine del genere, una sorta di semi-divinità delle 6 corde, una specie di Re Mida musicale che trasforma in oro tutto ciò che tocca, dalla Dickey Betts Band agli Allman, senza trascurare le collaborazioni con gli ex-componenti dei Greatful Dead, Phil Lesh in primis.
E poi ci sono i Mule, con i loro 12 album di cui l’ultimo, “Peace…Like A River” uscito meno di 6 mesi fa, e con il loro perenne girovagare negli USA e in Europa, che fa di loro una delle più attive live-band in circolazione.
E giustamente, aggiungerei, perché è su quei palchi che il Mulo vive la sua dimensione ideale.
In quei concerti, la scaletta è un mero accessorio: vi sfido a trovarne due uguali, quasi come se i titoli delle canzoni non fossero altro che una mera scusa per attaccare gli ampli e lanciarsi in due/tre ore in cui esplorare l’impressionante range di generi che la band riesce a toccare, passando con nonchalance dal blues all’hard rock, passando per il reggae, il jazz ed il funk, senza tralasciare l’eredità degli Allman e del southern rock, su cui è stato forgiato il sound dei Mule.
Il tutto sostenuto dalla magica chitarra e dalla voce di Warren, dalle tastiere ed occasionalmente dalla chitarra di Danny Louis e da una sezione ritmica da paura, con il drumming coinvolgente di Matt Abts, l’altro membro originario insieme a Warren, e dal basso mostruoso di Kevin Scott, entrato in formazione neanche 6 mesi fa, per sostituire il defezionario Jorgen Carlsson (un altro tipetto che con le 4 corde faceva miracoli).
Milano non poteva fornire ai Gov’t Mule location migliore del Dal Verme, storico teatro in pieno centro a Milano, praticamente adagiato all’ombra della Madonnina, e luogo assolutamente perfetto, sia per dimensione che per resa sonora, per ospitare una band di questo genere.
Dei quasi 1550 posti a disposizione, sono pochissimi quelli lasciati vuoti, mentre in quelli occupati possiamo osservare un pubblico tutto sommato trasversale, sintomo che quando la musica raggiunge certi livelli, anche tra gli ascoltatori vengono a cadere le barriere di genere, perché le vibrazioni che escono da quegli amplificatori sono universali, non puoi far altro che immergerti in esse ed ascoltare rapito quei quattro personaggi che con la scusa di una canzone ti trascinano via come un fiume in piena con le loro improvvisazioni, variazioni e riletture, con quei suoni così dannatamente vintage e quella perizia tecnica che non può non lasciarti con la mascella cadente.
Non vi è necessità di gruppi spalla, questa sera.
I Gov’t Mule si presentano puntuali sul palco alle 20:30, per dare vita a due set per quasi tre ore di musica, con un breve intervallo necessario per tirare il fiato e far riprendere conoscenza agli spettatori.
Si parte subito con ‘Bad Little Doggie‘ da “Life Before Insanity” (2000), l’ultimo disco che il povero Allen Woody incise con la band prima di lasciarci così prematuramente, per proseguire con le classicissime ‘Broke Down On The Brazos‘ e ‘Thorazine Shuffle‘, probabilmente i due pezzi più conosciuti della band, tanto che in un modo o nell’altro in set-list ci finiscono sempre.
Bello però ascoltarle così, una di seguito all’altra.
Il lungo viaggio a ritroso nella discografia della band prosegue con ‘Temporary Saint‘ e una splendida ‘Thelonius Beck‘, il brano ovviamente dedicato al noto pianista jazz, richiamando però quella ‘Thelonius‘ che Stevie Wonder donò a Jeff Beck, che la pubblicò nel 1975 su “Blow By Blow”.
Le cover sono una presenza fissa nei set dei Gov’t Mule e anche questa sera ne riceviamo un’abbondante dose, in chiave ovviamente blues.
In chiusura di primo set troviamo infatti la cover di ‘Grinnin’ in Your Face‘ di Son House, subito seguita da ‘I Asked for Water (She Gave Me Gasoline)‘ di Howlin’ Wolf, che faceva bella foggia di sé sul penultimo album dei Mule, “Heavy Load Blues”.
Una ventina di minuti di pausa sono più che sufficienti per recuperare le energie e ripartire alla grande riportandoci alla memoria “High & Mighty”, l’album del 2006 da cui provengono ‘Unring My Bell‘ e ‘Endless Parade‘, i due brani che aprono il secondo set e al termine dei quali il buon Warren chiama on stage un’ospite a sorpresa… o quasi.
Diciamo quasi perché non è certo la prima volta che Fabio Treves fa la sua comparsa sul palco insieme ai Gov’t Mule.
Questa volta lo fa prestando la sua armonica ad una fantastica rivisitazione di ‘Good Morning, School Girl‘ di Sonny Boy Williamson.
Il concerto prosegue con ‘Sco-Mule‘, nata dalla collaborazione con John Scofield, che lascia il posto alla struggente ‘Beautifully Broken‘, uno die miei pezzi preferiti, e a ‘Shake Our Way Out‘, dal’ultimo album.
In chiusura di secondo set, un’altra cover – questa volta tocca ad Ann Peebles e alla sua ‘I Feel Like Breaking Up Somebody’s Home Tonight‘.
Senza troppe cerimonie, Warren e compagni partono con gli encore, non prima di aver ri-chiamato Treves sul palco, insieme al quale danno vita ad una spettacolare ‘Long Distance Call‘, il pezzo di Muddy Waters già coverizzato su ‘Heavy Load Blues‘ per poi chiudere alla grande con l’ennesima, toccante interpretazione di ‘Soulshine‘.
Noi non possiamo vederli, ma son certo che Duane e Gregg da lassù stiano sorridendo, felici di poter constatare come la loro eredità non sia andata perduta, e sia tutt’ora in ottime mani, quelle di Waren Haynes che ancora una volta, questa sera, da quelle sei corde hanno estratto magia.