Gojira, un nuovo grado nella scala Richter
I Gojira portano in scena in un Alcatraz pieno nelle sue aspettative di pubblico il loro ultimo lavoro, e lo fanno in una serata che per volumi e potenza del suono potrebbe aver turbato i sismografi dell’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.
In apertura i londinesi URNE, che in mezz’ora veramente buonissima scaldano i già numerosi presenti.
Il trio dà subito filo da torcere all’impianto del locale proponendo un sound Stoner Metalcore.
Il batterista è una macchina da guerra, difficilmente contenuto da una delle due batterie montate ai lati del palco.
Il gruppo, già sponsorizzato come produttore da Joe Duplantier, ha fatto far bella figura al loro padrino ma non spiccano il volo: non vanno oltre ad una pur ottima performance.
Anche perché sovrastati dai volumi dei seguenti Conjurer, con il batterista posizionato sulla batteria opposta, che regalano loro una mezz’ora abbondante ma non del tutto convincente per un pubblico oramai in delirio di attesa.
Va bene tutto, basta fare casino.
Pezzi molto buoni in partenza che non riescono però ad andare oltre un limite di groove trito dal piattume un pò stucchevole. Sicuramente convinti dei loro mezzi, non sanno variare dal punto di partenza.
Probabilmente sono da risentire entrambe le band in altri contesti.
Alle 21.55, nel buio pesto che si è abbattuto sull’Alcatraz, si ode il canto della balena di intro a ‘Ocean Planet‘.
I Gojira, mastodontico kaijū formato dai fratelli Duplantier come testa e cuore assieme ai compagni Christian Andreu (chitarra) e Jean Michel Labadie entrano in scena a passi cadenzati.
Si abbattono sul pubblico colpendo l’anima dall’interno: emozioni fortissime dal punto di vista sonoro ma ancora nulla dal punto di vista visivo.
Tuttavia durante la serata si capirà che è soprattutto con i visual che i Gojira hanno veramente fatto passi da gigante, facendo apprezzare il perché di una scelta al chiuso: all’aperto si sarebbe perso molto dell’atmosfera intima e dell’interconnessione tra il messaggio della band e il pubblico.
Musicalmente quella dei francesi è stata una prestazione che mette il cuore in pace e ti conforta di aver fatto parte di una esperienza onirica e completa.
Tutti i pezzi in scaletta sono stati suonati perfettamente da quella che, con pochi dubbi, dopo una ventennale carriera è ancora una delle band più interessanti della scena heavy metal mondiale.
I contributi visivi che si sono alternati sul mega schermo alle spalle di Mario Duplantier e sui due ulteriori supporti grafici erano esattamente coerenti ed in linea col brano eseguito, facendo quasi scomparire i protagonisti dietro la maestosità visiva dell’opera.
Quindi, una spina dorsale stile radiografia (da cui partono semi e germogli) per ‘Backbone‘, la meravigliosa balena bianca per ‘Flying Whales‘, la copertina del loro ultimo album “Fortitude” per ‘Amazzonia‘, come un monito per quello sta succedendo a livello mondiale.
Simpatico anche il siparietto dopo una meravigliosa e cadenzata ‘The Art Of Dying‘, in cui Mario Duplantier sfodera un gigantesco drum solo con il quale ringrazia anche il pubblico italiano per gli auguri in occasione del suo compleanno e conclude esibendo un grosso cartello con l’emoji del pollice di approvazione per far vedere che è stato bravo a suonare.
Ottimo anche il lavoro per ‘Another World‘, dove un anime dedicato fa da sfondo come un episodio di “Black Mirror”, contraltare del messaggio che la band vuole dichiarare.
Il loro grandissimo supporto alla causa ambientalista è anche dato da un banchetto di Sea Sheperd presente sotto il palco rialzato.
Quello dei Gojira è stato un concerto sicuramente gratificante per il pubblico che, per una volta, si è impegnato nel godimento della performance e non nell’arte del videomaking selvaggio con cellulare alla mano.