Föllakzoid, il potere del cambiamento
Sono passati dieci anni o poco più da quando la mia vita concertistica incrociò per la prima volta i Föllakzoid, quattro ragazzi provenienti dal Cile, una nazione non esattamente nota per essere un crogiuolo di nuove sonorità in ambito rock. Quella sera tornai a casa allegramente fluttuando in una sorta di trip da post-concerto che non aveva necessità di essere alimentato da sostanze psicotrope, a mandarmi in orbita era stato sufficiente il loro mix di psych e space/kraut-rock, con quei ritmi pulsanti ed ipnotici che generano onde sonore tra le quali abbandonarsi in un avvitamento spiraliforme.
Se su Dune la Spezia si esaurisse, ai Navigatori della Gilda Spaziale potrebbe essere sufficiente spararsi in cuffia un qualsiasi album dei Föllakzoid:l’effetto sarebbe grosso modo identico.
Da allora però li avevo un po’ persi di vista, nonostante siano passati dalle nostre parti diverse volte.
Ho ascoltato i loro dischi ed ho assistito, in verità piuttosto passivamente, alla loro dissoluzione, con il progressivo abbandono di tre dei membri fondatori che hanno portato il progetto Föllakzoid ad immedesimarsi in toto con la sua figura chiave, il chitarrista/cantante Domingæ Garcia Huidobro.
E così come nel tempo si è asciugata la line-up, anche la proposta musicale ha subito una sorta di riduzione ai minimi termini, con una svolta sempre più minimalista e votata all’elettronica, che nell’allontanarsi dal mondo del rock si è avvicinata sempre più a quello della techno.
Nello scorso mese di settembre è stato rilasciato “V”, l’ultima creatura a marchio Föllakzoid, che completa la transizione sonora già intrapresa con “I”, l’album del 2019, ed ancora di più con “Æ”, il disco con cui Domingæ ha debuttato nel 2021 in veste solista.
Inutile dire che alla luce di tutto ciò, la curiosità per questa serata – inquadrata in seno al progetto Psychodelice di stanza all’Arci Bellezza di Milano – era per il sottoscritto altissima.
Raggiunto con non poche difficoltà di parcheggio il locale, ed espletate le formalità di sottoscrizione al circolo ARCI raggiungo finalmente la sala dove stanno già esibendosi i Torba, una formazione a me totalmente sconosciuta, chiamata ad aprire l’evento odierno.
Non ho capito se facessero ironia o meno, ma questo dovrebbe essere stato il loro primo concerto e, molto francamente, non è che ne sia rimasto particolarmente impressionato, complice l’attesa per l’esibizione dei Föllakzoid, che prende vita quando le luci in sala si spengono ed a centro palco appare Domingæ, assistita dai due musicisti che la coadiuvano, rispettivamente alla batteria ed alla consolle.
Sul palco tutto è assolutamente minimalista, in linea con la proposta musicale.
Il colore dominante è il blu delle luci che illuminano, se così si può dire, una scena dominata dalla presenza di una Domingæ avvolta in un aderentissimo abito nero, che crea un netto contrasto con il bianco della sua chitarra.
Indossa gli occhiali da sole, Domingæ, quasi a celare i propri occhi che scrutano il pubblico.
Non è esattamente un concerto rock quello a cui stiamo assistendo, anche se quando prende in mano la chitarra, Domingæ tira fuori delle micidiali schitarrate a mitraglia che si innestano sulle basi ai confini tra psych e techno su cui è costruita la sua esibizione.
Difficile quanto inutile parlare di set-list, ovviamente tutta incentrata sui pezzi di “V” con qualche incursione nell’album precedente.
Il tutto è molto affascinante, ho speso metà del concerto osservando le movenze della Huidobro, e l’altra metà osservando le reazioni del pubblico, che sono le più disparate, tra chi ascolta rapito, chi balla come fosse su un dance-floor e chi più prosaicamente si lascia fluttuare trasportato dai ritmi ipnotici che arrivano dal palco, in una sorta di viaggio psichico attraverso lo spazio siderale.
Che altro dire?
Per quanto affascinante, non posso nascondere come l’evoluzione del progetto Föllakzoid abbia portato quel sound che tanto mi aveva colpito agli esordi ad allontanarsi sempre più marcatamente da quelle che sono le mie coordinate musicali, avvicinandosi contestualmente a quelle di qualcun altro, che riuscirà ad apprezzare questa nuova veste sonora più di quanto non sia in grado di fare io.