Dirty Honey, California dreamin’
Da Los Angeles, i Dirty Honey in tour in Italia
La band si è fatta conoscere al grande pubblico grazie al singolo ‘When I’m Gone’ (2019), arrivato al vertice della classifica Mainstream Rock Songs stilata da Billboard – la prima volta per un singolo autoprodotto
Attendevo con impazienza questa seconda calata italica dei Dirty Honey, giovane formazione losangelina che ho ampiamente apprezzato per quel poco che ha pubblicato su disco (un Ep ed un album che è tale solo di nome, in realtà è un Ep giusto un pelo più ‘extended’ del precedente) ma che dal vivo raggiunge la propria dimensione ideale, come hanno avuto modo di constatare coloro che, la scorsa estate, l’hanno vista aprire per i Guns N’Roses a San Siro o nel concerto da headliner in quel di Bologna.
Ma andiamo con ordine.
A riscaldare gli animi di un pubblico che ha riempito quasi completamente i Magazzini Generali ci pensano i The Wild Things, quartetto britannico guidato dall’attrice Sydney Rae White e da suo fratello Cameron.
Saranno anche sconosciuti ai più, certo è che le loro doti non devono essere passate inosservate nel quartiere generale degli Who, dal momento che il buon Pete Townhsend se ne è letteralmente innamorato divenendone pigmalione, produttore, sponsor e nume tutelare.
Il che è più che sufficiente per farmi raddrizzare le antenne.
Diciamo subito che, con un nome del genere, ci si aspetterebbe qualcosa di un po’ più selvaggio del frizzante rock’n’roll proposto questa sera e di certo non posso dire che stiano reinventando la ruota.
Quel che fanno, però, lo fanno bene e con passione.
Sydney Rae interpreta con il giusto piglio la parte della front-woman e tutto sommato i 40 minuti del loro set scorrono via lisci, grazie ai brani del loro (per ora) unico album targato 2021 (tra cui citerei ‘Loaded Gun’ e ‘Skin & Bones’) e al singolo ‘Heaven Knows’, che anticipa di qualche mese la release del nuovo disco.
In concreto, possiamo dire che l’obiettivo di riscaldare l’audience per i protagonisti della serata si può considerare raggiunto.
Sulle azzeccatissime note di ‘Rock’n’Roll Damnation‘ degli AC/DC salgono finalmente sul palco i Dirty Honey, con una ‘Gypsy‘ che non è solo un’opener: è una dichiarazione di intenti, stasera non si faranno prigionieri.
E infatti il quartetto sfodera un tiro pazzesco, puro inadulterato rock’n’roll privo di compromessi, come potremmo immaginare di sentire dagli AC/DC se suonassero come i Black Crowes.
Marc LaBelle e John Fuckin’ Notto, rispettivamente voce e chitarra, incarnano a pieno lo spirito delle grandi coppie del rock, sorta di piccoli Steven Tyler e Joe Perry per il nuovo millennio.
E non è un caso se nel set di questa sera, oltre ai propri brani, trova posto una fantastica reinterpretazione di ‘Last Child‘ degli Aerosmith.
Osservare quei due sul palco è come sfogliare una specie di beginner’s guide to throwing shapes: scorrono via con naturalezza tutte le mosse classiche da aspiranti rockstar, senza mai risultare troppo impostati o sforzati – i ragazzi hanno sfruttato al meglio l’intensissima attività live degli ultimi tempi, che gli ha permesso di acquisire una padronanza del palco che solitamente si conquista in età più avanzata e dopo svariati anni di esperienza.
Marc LaBelle è uno di quei front-man fatti della stessa materia di cui son fatti gli Steven Tyler di questo mondo.
Il chitarrismo di John Notto non è iper-tecnico, il suo operato è totalmente asservito alle canzoni, e da questo punto di vista si dimostra di rara efficacia.
Un plauso anche alla sezione ritmica, con l’ottimo lavoro al basso di Justin Smollan e alla batteria dal neoassunto Jaydon Bean, subentrato in corsa al dimissionario Corey Coverstone.
I brani in scaletta si susseguono senza lasciare troppo spazio a convenevoli e discorsi – LaBelle mostra di gradire particolarmente i soggiorni nel nostro paese e si lancia in timidi approcci al pubblico nella nostra lingua (inutile dire che le parolacce le ha imparate subito).
Come si diceva, la band non ha un repertorio infinito di brani da cui pescare ed è quindi abbastanza naturale che gran parte della loro produzione trovi spazio in questo show, di cui risultano particolarmente apprezzati i singoloni ‘Heartbreaker‘ e ‘Another Last Time‘, per non parlare delle varie ‘California Dreamin’‘ e ‘The Wire‘.
In questo tour stanno anche testando due o tre pezzi nuovi, che a rotazione presentano nelle varie date.
A Milano è toccata ‘Ride On‘ che dovrebbe trovare spazio nel nuovo album la cui uscita è prevista per la fine di quest’anno.
Lo show si conclude con una classicissima ‘Rolling 7s‘: si riaccendono le luci, la security fa sgombrare rapidamente il parterre ma la serata non è destinata a chiudersi nell’immediato.
Lasciati i camerini, i quattro Honey si uniscono ai fan che li stanno attendendo assiepati fuori dal locale dispensando sorrisi, strette di mano ed abbracci e dimostrando una disponibilità ed un umiltà spesso sconosciuta in questo ambiente.
Una volta tanto, zero ego e tanta empatia con coloro che, in fin dei conti, ne sostengono le aspirazioni e ne garantiscono la carriera.
Un consiglio pratico: una band del genere non può rimanere confinata nel circuito dei club troppo a lungo.
È destinata a crescere, ed a crescere parecchio – per cui, se ne avete l’occasione, godeteveli adesso.