Diaframma: la festa per uno “splendido quarantenne”
Gran forma dei Diaframma nel tour celebrativo di “Siberia”
Federico Fiumani non si risparmia e regala ai fan un’ora e mezza senza respiro
Roma, 7 dicembre 2024
Mentre i Diaframma si esibivano sul palco del Monk, si spegneva Francesco “Poppy’s” Cerroni. Musicista con il suo progetto dei Poppy’s Portrait e pietra angolare del Monk. Non ho fatto in tempo a conoscerlo personalmente, ma lo ricordo sopra e sotto i palchi di centinaia di concerti. Per quel poco che può contare queste righe sono scritte nel suo ricordo.
Le 24 ore che precedono il concerto dei Diaframma al Monk, nel tour celebrativo dei quarant’anni di Siberia non sono delle più semplici. Se fossi Rocco Schiavone, inserirei le commemorazioni dei dischi del passato tra le rotture di coglioni di livello 9, inferiori solo alle rimpatriate con gli amici delle medie (livello 10) e ai tributi ai cantautori degli anni Settanta (livello 9,5).
Ho sempre paura di ritrovarmi all’interno di un gigantesco “Compagni di Scuola” e scoprire quanto siano male invecchiati le opere che consideravo destinate a imperitura gloria. Ma soprattutto di accorgermi di aver condiviso con quei capolavori del passato lo stesso destino. E poi far finta di nulla, applaudire, fingere di emozionarmi e vestirmi di un’esaltazione tanto più forte quanto necessaria per nascondere a me stesso l’immagine di Fabris, che giorno dopo giorno incombe sul profilo del mio volto. Se non sapete chi sia Fabris vi siete persi molto, ma potete recuperare cliccando sul link .
In più, e questo perché sono malfidato, mi viene in mente lo specchietto per le allodole. Ho ancora qualche segno sbiadito della scottatura di due anni fa. Qualche migliaio di persone era accorso a Torino per celebrare con i Primal Scream i trent’anni di Screamadelica. Si trovarono davanti un concerto moscio e senza personalità. Un solo brano del disco all’interno della scaletta, e un Bobby Gillespie svogliato e distaccato, che non andò oltre l’indossare una mise a richiamo della copertina.
Oppure, e questo sempre perché continuo a essere malfidato, penso a band che non avendo più molto da dire, si danno appuntamento di decennio in decennio per vedere se la tigre sia ancora cavalcabile. In una scena musicale mainstream ad alto contenuto di immondizia, in un’assenza di proposte credibili, o confinate in nicchie sempre più ristrette, che occupino lo spazio sonoro e semantico del rock (ora che il bluff Maneskin è diventato evidente per tutti), tirar fuori dal baule della soffitta dei nonni i nomi dei CCCP, o dei Marlene Kuntz, genera sufficiente hype.
Accade non soltanto tra i reduci dell’epoca, ma in molti casi anche tra i giovanissimi. Come quando io, poco più che adolescente, festeggiai come uno scudetto l’uscita di un album dei quattro quinti della formazione storica degli Yes. Oggi posso dirlo, il trionfo del peggior riccardonesimo; una mattonata sulle tempie sarebbe stata più divertente. Insomma, in un mondo di bruttezza, ci si aggrappa a una bellissima foto del passato. L’immagine in bianco e nero di nonna ventenne, sull’altalena in quel giorno di maggio
Ma la controindicazione peggiore non è l’effetto rimpatriata, o il crogiolarsi volgendosi al passato. No, è il ritrovarsi a X-Factor ragazzini di 18 anni alle prese con la cover di ‘Mi Ami’, tra luci rutilanti e scenografie da Eurovision Song Contest. Non sarà un furto, ma è almeno appropriazione indebita. Ma non credo che la premiata ditta Ferretti/Zamboni abbia da ridire e non serve spiegare perché.
Questi i pensieri che mi vorticavano nel cervello come le pale dei mulini di Zaanse Schans. in attesa di incontrare i Diaframma sul palco del Monk. Forse per questo gran roteare dimentico di verificare l’orario d’inizio del concerto e quasi lo liscio. Arrivo appena in tempo, quando sono passate le 19 da una manciata di minuti. A quanto saprò, ci sarà chi avrà davvero mancato parte della serata. Servirà loro di lezione per la prossima volta
Ora, rileggete quanto scritto fino a ora. Poi passate alla riga successiva.
Perché, se hanno un senso e stanno in piedi le righe precedenti, ha altrettanto fondamento di realtà un fatto incontrovertibile: i Diaframma stanno facendo un concerto pazzesco. Senza discussioni e senza prigionieri. Io sono felice di esserci, di divertirmi e di emozionarmi. Sono in contraddizione? Sì e non me ne preoccupo.
È il secondo sold out in 24 ore per il Monk. I convenuti assistono a un’ora e mezza tiratissima, ventiquattro canzoni senza pausa. L’attesa tra la fine di un pezzo e l’inizio del successivo non supera mai i cinque secondi. Quasi tutti brani attinti dal repertorio anni Ottanta. Federico Fiumani sta ai Diaframma come Robert Smith sta ai Cure. L’elenco di musicisti che lo hanno affiancato dai primi anni Ottanta a oggi è sterminato. Oggi ci sono Edoardo Daidone e Luca Cantasano, alla chitarra elettrica solista e al basso, e l’entrata più recente, Tancredi Lo Cigno alla batteria dopo la fine burrascosa del rapporto con Lorenzo Moretto.
L’artista fiorentino è di pochissime parole, rapidi i ringraziamenti tra un pezzo e l’altro, uno sguardo d’intesa con la band e si riparte. Le luci sul palco finalmente semplificano la vita ai fotografi. Nessun blu, niente nebbia; ma luci calde, rosse, bianche, gialle e arancioni. Primi dieci pezzi tutti estratti da “Siberia”, lo splendido quarantenne di oggi. La sezione ritmica non lascia respiro, la voce di Fiumani non risente del passare del tempo. Forse un po’ troppo urlata o alta nelle casse durante ‘Memoria’ e ‘Specchi d’Acqua’, ma nel complesso cupa e presente come deve essere.
Il pubblico esplode con ‘Amsterdam’. Il suo ritornello è cantato da tutti ,o quasi. Ragazzine, ragazzini e loro genitori. Nel basso senti il suono di un decennio di musica. Il solo di chitarra di Edoardo Daidone su ‘Marisa Allasio’ ha l’energia dell’indemoniato. ‘Spazi Immensi’ è un’onda punk che travolge, così come ‘Adoro Guardarti’. Sotto al palco iniziano a scatenarsi, ma con giudizio. Le ultime generazioni hanno quell’equilibrio che mancava a noi. O forse no, visto che due giorni fa, a Milano, Federico Fiumani ha interrotto ‘Blu Petrolio’ per evitare che le ragazze si facessero male durante il pogo.
Con ‘Altrove’ si scende nei recessi della darkwave. Basso e batteria sono impietosi, gravi ed opprimenti. In coda al pezzo Federico si avvicina alla transenna, a diretto contatto con il pubblico. L’esecuzione di ‘Gennaio’, prima canzone dei Diaframma cantata da Fiumani dopo l’addio di Miro Sassolini nel 1989, richiesta a gran voce dal pubblico, viene differita di due o tre pezzi. Il concerto è un crescendo e su ‘Libra’ si agitano anche i diversamente giovani, tra protrusioni vertebrali, cartilagini meniscali consunte e anche (le articolazioni, non la congiunzione) traballanti. Sacche di resistenza rinvigorite dal punk. Si chiude la prima parte con i seicento presenti che cantano il ritornello finale di ‘Amsterdam’.
“Nel bis facciamo pezzi malinconici, anni Novanta” scherza Fiumani. Arriva ‘Labbra Blu, l’unica ballad della serata. Poi si torna subito indietro, e non di poco. L’omaggio dei Diaframma ai Television di ‘See No Evil’ mi suona come una dichiarazione di amore e gratitudine, prima di chiudere con le chitarre liquide, ariose e aperte di ‘Tre Volte Lacrime’. È il momento di gloria di Luca Cantasano al basso e di Tancredi Lo Cigno, sul cui solo, Federico Fiumani posa la chitarra e dà appuntamento a tutti al 26 gennaio, sempre alle ore 19.
Ho detto resistenza. Forse parlarne oggi è fuori contesto. Non so quanto il messaggio del rock alternativo di quegli anni sia ancora attuale e proponibile alla contemporaneità dei nostri giorni. Ma magari ce la raccontavamo tra noi e non era tale nemmeno nel decennio rutilante e patinato dei craxiani al governo, della Milano da bere, e di un mondo fatto di reggiseni imbottiti, applausi registrati e telepromozioni a portata di telecomando. Sacche di resistenza ieri, spazi di utopia per perdenti che non trovano accoglienza in proposte musicali adeguate. Poi vanno ai concerti che celebrano capolavori del passato e fanno pace con la vita.
Sconfitti, utopisti, disperati, conflittuali, ma con un fondo di felicità: come i protagonisti dei grandi romanzi della letteratura. Come i protagonisti del rock and roll.