Devendra Banhart live a Milano: un quieto vulcano
24 maggio, Milano: this is the day, finalmente Devendra Banhart può approdare in Italia ed esibirsi sul palco dell’Auditorium Fondazione Cariplo.
Una data inizialmente prevista per il 3 aprile e posticipata di un paio di mesi, a cui sono state aggiunte da Vivo Concerti altre tappe italiane per formare un minitour estivo che passerà da Gardone Riviera il 9 luglio, Cesena il 10 luglio e infine Roma l’11 luglio, nella suggestiva cornice del Teatro Romano di Ostia Antica.
“Ape in pink marble” è l’ultimo disco di Devendra Banhart, uscito nel 2016, ed è sull’onda lunga del successo di questo album che è arrivato un anticipatissimo sold-out.
Il pubblico approda volentieri nelle refrigerate stanze dell’Auditorium di Milano, riempiendo alla spicciolata i posti a sedere in platea e in galleria sulle note della selezione ambient di Gigi Masin.
La lunga attesa e il caldo, che i tg ci spiegano dare parecchio alla testa della gente in questo periodo, spingono sull’impazienza del pubblico, ma è proprio a questo punto che fanno capolino sul palco Devendra Banhart e i membri della band, in tutta la loro eleganza, e con un altrettanto elegante saluto mettono a tacere i borbottii.
Si spengono le luci e il concerto ha inizio, all’insegna della massima cura di ogni dettaglio, che sia visivo, sonoro o addirittura gestuale. L’aspetto musicale più puro è affidato al gruppo, mentre il frontman si dedica al ruolo di guida vocale e spirituale, con quell’aria mistica da santone un po’ caciarone che lo contraddistingue. Un’atmosfera riempita da blande romanticherie in stile spiaggia al tramonto, i suoni strutturati ma senza esagerare, dal piglio accogliente anziché travolgente.
Dopo un lungo intermezzo per una chiacchierata tra amici, finalizzato all’uscita di una torta sul palco per festeggiare il compleanno del chitarrista, riprendiamo le influenze oceaniche in un clima poco consono, mitigato dall’aria condizionata anziché dal vento di maestrale. Il suono si infittisce mano a mano, guadagnando di intensità nei pezzi in cui il mellotron viene sacrificato per l’aggiunta di una chitarra.
C’è anche un momento in cui Devendra Banhart fa lo one-man show, prestandosi a giocare con le richieste del pubblico, assecondandole e provocandole con fare istronico, suonando in modo pizzicato e felpato e con una voce sussurrata che con un po’ di malizia potremmo ricondurre a Fabio Concato. Col rientro del gruppo in scena, si rimane sempre sul confine tra la musica di tendenza, volutamente compiacente, e la musica efficace, quella che non dà tregua alla caviglia e al ginocchio anche quando sei seduto in modo composto sulla tua poltrona da Auditorium.
L’uomo di spettacolo viene alla ribalta, scendendo dal palco e passeggiando tra le prime file, affiancandosi al batterista per giocare con le percussioni, prima della breve uscita di scena che lancia l’encore finale. Un bis estremamente latineggiante, con una versione anglo-spagnola di ‘Sound and vision‘ in ricordo di David Bowie prima di una chiusura muy caliente per tutti i muchachos che nel frattempo si sono assiepati in piedi davanti al palco.
Devendra Banhart è indiscutibilmente un musicista di tendenza, uno che i tempi li ha anticipati e che ora gode di questa lungimiranza che lo ha reso uomo di punta di un certo movimento indie folk. Ci gioca su e se la gode, per un concerto perfettamente incastrato nella cornice distinta in cui viene messo in scena. Viene solo il dubbio se da questo indiscutibile talento, suo e di chi lo accompagna sul palco, non si potrebbe ottenere qualcosa di ancora più trascinante, con un cazzeggio leggermente meno spinto.
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