Dentro e fuori dalla gabbia: il concerto a due facce dei Nobraino
Nobraino: band di Riccione, nata nel 1996, formata da Lorenzo Kruger, voce; Marco “Nestor” Fabbri, chitarra; Matteo “Bartok” Bartolini, basso; Samuele “Il Vix” Vichi, batteria. D’ora in poi faremo riferimento a loro utilizzando i soprannomi. Con il nuovo millennio acquistano due componenti (“David Junior Barbatosta” e “Il Duca D’Abruzzi) e li piazzano al trombone e tromba. Nel decennio 2006/2016 intensissima e continua è stata l’attività live dalla Val Gardena alla Valle dei Templi, dalle grandi città ai paesi con poche centinaia di abitanti. Arrivano riconoscimenti e fama per l’eccezionale impatto e coinvolgimento dei loro live, grazie soprattutto alla presenza scenica e alle trovate del frontman e autore dei testi, Lorenzo Kruger. Arrivano i lavori in studio, in cui lo spirito umoristico, ironico e dissacrante della band si rivela già dai titoli. Arriverà con il tempo anche l’approdo alla Warner.
I più ricorderanno l’esibizione al concerto di piazza San Giovanni, il Primo Maggio 2012, quando, estratta dalla tasca una macchinetta per il taglio dei capelli, Kruger si rasò a zero in diretta tv. La scena si ripeté durante i concerti utilizzando volontari tra il pubblico. Io ricordo estintori a CO₂ sparati sulle prime file del pubblico. Orbene, arriviamo a oggi: dopo diversi anni di assenza dalle scene, e i progetti paralleli di alcuni componenti, sono tornati con un nuovo disco, cui sta facendo seguito un tour nelle principali città italiane. La formazione attuale ha cinque componenti, l’entrata di Pietro “Bartok 2” Casadei, al basso e di Nicoletta “Lady Barbuda” Nardi alle tastiere, ai cori e, quando necessario, alla seconda chitarra. Il disco si chiama “Animali da Palcoscenico”, uscito per Baobab e distribuito da Warner Music.
L’attore, il performer, il frontman si definisce «animale da palcoscenico» quando in scena si sente pienamente a suo agio, quando la sua espressività giunge diretta dal suo sentire ed è capace di catalizzare l’attenzione del pubblico. Oppure quando si sente in gabbia. Intrappolato, prigioniero del suo ruolo e del copione da portare in scena; in ostaggio di un pubblico, accorso per lanciargli noccioline sotto forma di applausi qualora l’esibizione sia conforme alle aspettative.
Forse per questo nella prima parte del concerto, della durata di un’ora, non succede nulla. O meglio, non succede nulla rispetto alle aspettative che si nutrono nei confronti della band romagnola. Perché a essere protagonista della prima ora di concerto è lei: la gabbia metallica a maglie intrecciate posta sul limite del palco, a separare l’azione della band dai propri fan. Una traduzione concreta di quella quarta parete la cui rottura è obiettivo primario di ogni “animale da palcoscenico” che si rispetti. Ad alcuni ricorda The Blues Brothers, ad altri Richard Benson, ma conta poco. La cosa importante è che una band che ha fatto dell’annullamento di ogni barriera con il pubblico, in questo tour si preoccupa di rimarcarla fisicamente. Se si entra troppo nel personaggio, lo stesso palco può diventare una prigione. Ci vogliono dire questo? Chissà.
Chi si aspettava la partenza con il botto resta deluso. L’inizio avviene in un silenzio piuttosto surreale. Lorenzo Kruger, in salopette jeans, trench, occhiali e guanti neri, insolitamente contenuto durante il primo pezzo. Il motivo sarà presto rivelato: una copiosa perdita d’acqua da un fallo di gomma nascosto tra i pantaloni, stante l’intenzione di inondarvi il pubblico. La sorpresa è saltata, ma il pubblico verrà battezzato a dovere durante la seconda canzone. Gli outfit dei musicisti non passano inosservati: un copricapo pellerossa per il Vix, un poncho messicano abbinato a cappello a tesa larga per Nestor, un abito nordafricano con tanto di fez per Bartok II. In realtà, la cosa che più mi colpisce è il cambio di chitarra di Nestor, passato dalle sonorità calde e pastose delle Gibson semiacustiche, a quelle più taglienti e cristalline della Fender Stratocaster.
Nella prima ora di concerto, dedicata al nuovo disco, Lorenzo Kruger si conferma abile, ironico, acuto, intelligente conversatore. Fine umorista, alterna con disinvoltura il registro caustico a quello più leggero senza perdere aplomb e credibilità. Di ogni pezzo racconta la genesi. Le sue parole si incastonano nelle improvvisazioni sonore, talvolta rumoristiche, della band e, talvolta, si ha la sensazione di assistere più a un one man show, che non al live di una band. La presenza della gabbia rende l’esibizione più “frontale” che interattiva. È il suo sporco suo lavoro, anche se non so quanto voluto dalla band.
L’esperienza cantautorale del frontman è predominante; le canzoni scorrono piacevoli, senza particolari sconquassi. C’è chi apprezza e chi invece è un po’ dubbioso. I temi toccati dai testi sono centrali, profondi, di spessore. La resistenza al cambiamento ne ‘L’Ultimo Uomo a Cavallo’, la manipolazione delle informazioni durante i periodi di guerra in ‘Glenn Miller’, fino a sfiorare l’esistenzialismo in ‘Dubbi Sul Futuro’. La calma dura fino all’ottavo pezzo in scaletta, quando il fuzz di Nestor lancia ‘Fermentazioni’. Canzone dal mood combat folk, tempo in sei ottavi, veloce e tirato. La gabbia si apre e Kruger si getta tra il pubblico. È l’innesco del primo pogo selvaggio della serata, sintonico con la frenesia di un testo fatto da tante parole sputate fuori a gran velocità. Saltano le bretelle della salopette del cantante e necessitano di un rapido cambio nei camerini.
Il concetto di espansione in ‘Canzone d’Amore per Correre’ riporta quella tranquillità che però, ormai è chiaro, avrà vita breve. Un basso che entra in un overdrive e suonato con il plettro delinea i contorni di atmosfere anni Ottanta. La canzone è di quelle da cantare a squarciagola, diretta, essenziale e di cuore. Per finire, un omaggio a De André con un’interpretazione aggressiva di ‘Hotel Supramonte‘, cantata indossando un cappuccio da sequestrato, prima che la band preannunci un’inaspettata pausa di un quarto d’ora.
L’intervallo è riempito dalla presenza di di Matteo Gabbianelli, voce e leader dei Kutso, che con Brian Riente, chitarrista della band intrattiene la platea. I due sono il volano che lancia la seconda parte del concerto. È il cantante della band romana ad aprire, accompagnato da Nestor Fabbri, la seconda parte del live, con la sua personale interpretazione di ‘Narcisisti Misti’, un classico dei Nobraino, dandone un’interpretazione personale e adattandola alla sua timbrica vocale.
La band rientra con gli abiti che da sempre ne hanno caratterizzato l’immagine. Dopo l’imponente milonga di ‘Nottambula’, la porta della gabbia si apre e arriva il tempo dei classici di sempre. Con ‘La Giacca di Ernesto’ Lorenzo Kruger inizia il suo personale spettacolo nello spettacolo. Chiama il primo stage diving durante ‘Record del Mondo’ , poi su ‘Tradimentunz’ si scaraventa tra il pubblico per un altro pogo senza esclusione di colpi.
C’è sempre suono a riempire i vuoti tra i pezzi. Il racconto con sonorità country-punk della vita nella provincia italiana in ‘Lo scrittore’. ‘Esca Viva’ è il brano più crudo, amaro, oscuro nei suoni martellanti e ossessivi della batteria del Vix. E poi altro stage diving sul basso slappato di ‘Bigamionista’, le luci strobo e la cassa martellante che accompagnano la sana richiesta di dipendenza quotidiana in ‘Endorfine’. Poi il colpo di genio finale: Kruger indossa un irroratore da giardiniere e chiede agli spettatori di svuotarvi i loro cocktail, poi spruzzati sul pubblico durante l’esecuzione de ‘I Signori Della Corte’. Dagli estintori al gin tonic il passo non è breve; l’evoluzione ha trasformato l’anidride carbonica in etanolo
Chiusura amarcord; prima l’adrenalina di ‘Bifolco’, poi la malinconia struggente di ‘Film Muto’. Raccontata dallo stesso frontman come “una canzone al femminile, dedicata ai nostri genitori, che si guardano da anni senza far l’amore, con un carico nei loro silenzi che è quello che oggi iniziamo a ritrovar noi nelle nostre coppie. E che oggi iniziamo a capire”
In pochi in Italia hanno la capacità performativa di Lorenzo Kruger, capace di abitare con ironia e arguzia il piano dell’intelletto, e un secondo dopo scatenare le energie più viscerali e terrene con adeguata violenza. Il suo stile vocale affonda nella tradizione cantautorale italiana, da De André, a Paolo Conte, a Fred Buscaglione, a Gino Paoli nei pezzi più melodici. Ma lo fa con le movenze di una rockstar purosangue alla Perry Farrell. Nestor, il Vix, Pietro Casadei, Nicoletta Nardi sono il suo completamento rock. Hanno mantenuto l’energia e la carica di sempre e l’originalità di una proposta che fonde insieme la canzone italiana, la visceralità sanguigna della Romagna e la potenza del rock.
Qualche tempo fa chiesi a Mirco Mariani degli Extraliscio, quale fosse il segreto della Romagna. Citando Federico Fellini, mi rispose «il sogno». Ripenso a queste parole e penso sia davvero così. Chi nasce e cresce in quella terra contadina e marinaresca, in equilibrio tra Cristo e Dioniso, possiede il passepartout per aprire qualsiasi gabbia.