Dalle terre del Nord: non solo Sólstafir
Sfumature di nero in salsa nordica a Paderno Dugnano
Helga, Oranssi Pazuzu e Sólstafir insieme per il “Nordic Descent 2024”
Paderno Dugnano (MI), 04 Dicembre 2024
Non saranno cinquanta come quelle che danno il titolo all’omonimo (pessimo) film, ma è chiaro che saranno parecchie le sfumature di nero di cui si tingerà questa serata.
Hellfire Booking Agency e ERocks Production portano infatti sul palco dello Slaughter Club uno dei pacchetti più intriganti della stagione, quel “Nordic Descent 2024” che vede i Sólstafir promuovere il nuovo album “Hin Helga Kvol”. Per l’occasione, sono accompagnati dagli Oranssi Pazuzu e dagli Helga. Tre band nordeuropee per le quali la comune radice black metal è mero punto di partenza, un incipit dal quale partire per destrutturare e rileggere il genere, personalizzandolo e sfumandolo ciascuna secondo la propria visione musicale.
Mancano pochissimi minuti alle 19:00 ma sul palco sta già prendendo posizione Helga, o per meglio dire gli Helga, dal momento che il progetto solista di Helga Gabriel, svedese di Dalarna ma dalle origini inequivocabilmente asiatiche, è oramai diventato una band vera e propria.
Dopo aver dato alla luce un paio di Ep in solitaria, infatti, la ragazza si è trasferita a York (UK) dove ha incontrato Cai Sumption (GTR), Cameron Gledhill (GTR) e Ryan Fairclough (BS), tre compagni di scuola che, ammaliati dalla voce di Helga, non hanno saputo resistere alla tentazione di unire le forze. Con l’innesto del batterista Sami Javed, hanno dato vita a questa interessantissima giovane formazione, messa subito sotto contratto dalla Season Of Mist, per la quale nel novembre dello scorso anno è stato rilasciato l’ottimo disco d’esordio “Wrapped In Mist”, da cui proviene la gran parte dei brani presentati questa sera.
Semplificando in estremo, il sound degli Helga può richiamare parecchio da vicino quello di Myrkur, anche se l’ascolto più approfondito rivela tutte le influenze che si nascondono dietro ai brani della band, in una sorta di caleidoscopio musicale in cui si fondono post-rock, black metal, shoegaze, progressive rock e, perché no, quella spruzzata pop che rende il tutto più frizzante.
Sul palco la presenza di Helga Gabriel è eterea, novella sacerdotessa pagana dal volto solcato da un make-up tribale, rapita dagli inni sacri e dai salmi che intona con quella voce suadente ed incantatrice, pronta comunque ad esplodere in uno screaming mai sopra le righe, quando il pezzo lo richiede. La trama musicale su cui svetta la voce di Helga viene sapientemente intessuta dai suoi quattro compagni di avventura: non siamo certo in presenza di virtuosismi strumentali, ma il sound prodotto dalla band è solido e consistente, per uno show purtroppo breve (poco più di una mezz’oretta) ma intenso che ha colpito l’attenzione anche di chi, come chi scrive, si è trovato per la prima volta al cospetto di questa strana creatura nordica. Ed infatti, nel post-concerto abbiamo visto l’addetto al merchandise consegnare ai nuovi fan diverse copie sia in vinile che in cd del loro disco d’esordio, che poi Helga e compagni hanno gioiosamente autografato durante il resto della serata.
Nel frattempo, il palco è stato prontamente risistemato per accogliere la performance forse più attesa della serata, quella degli Oranssi Pazuzu. I cinque finlandesi rappresentano una delle realtà più interessanti emerse negli ultimi anni, in virtù di un sound che, pur traendo origini dal black metal, si è costantemente evoluto inoltrandosi sempre più profondamente nella psichedelia, fino ad inglobare elementi di progressive e space rock, industrial ed avanguardia, dando così vita al caos organizzato che abbiamo imparato ad apprezzare con gli album in studio, ma che dal vivo – come avremo modo di constatare a brevissimo – assume la sua dimensione effettiva, quella della devastazione sonora più totale.
Li avevamo lasciati con quella piccola gemma che è stato “Mestarin Kinsy”: li ritroviamo oggi, freschi di release, con il nuovo album “Muuntautuja”, disco reso disponibile pochissime settimane fa con cui gli Oranssi Pazuzu compiono un ulteriore passo evolutivo, trovando larghi consensi sia tra la critica che tra il pubblico.
Sarà il disco dell’anno? Probabilmente no, ma di sicuro un posto nella top ten di tanti appassionati certamente lo troverà. Non sorprende dunque che buona parte dello show di questa sera sia incentrato in larga parte proprio sul materiale di questo nuovo album, a partire dalla furia nichilista di ‘Bioalkemisti’, il brano che apre sia il disco che il concerto odierno.
In scaletta troveranno posto anche la colossale title-track, che parte progressiva prima di derivare in un’orgia di loop, dissonanze e distorsioni, e le orrorifiche ‘Hautatuuli’ e ‘Valotus’, i due brani dell’album in cui emerge più prepotentemente la natura black metal degli Oranssi Pazuzu. Non mancano ovviamente i richiami ai lavori precedenti, ed infatti dal sopra menzionato “Mestarin Kinsy” ci verranno proposte sia ‘Kuulen Aäniä Maan Alta’ che ‘Uusi Teknokratia’. Il pezzo più anziano della serata, ‘Vasemman Käden Hierarkia’ tratto da “Värähtelijä” del 2016, è anche quello che la conclude, lasciandoci vagamente storditi dopo essere stati investiti dall’uragano di suoni e distorsioni perpetrato ai danni delle nostre orecchie da questi cinque demoni arancioni.
Un uragano di suoni e distorsioni a cui però ci sottoporremmo nuovamente davvero volentieri, speriamo quindi di vederli tornare presto dalle nostre parti.
Paradossalmente, questa sera chi ci ha colpito di meno sono proprio coloro che sono saliti sul palco dello Slaughter con il ruolo da protagonisti della serata. Non che abbiano fatto un pessimo concerto – in tutta franchezza, ad un brutto show dei Sólstafir non ci siamo ancora stati – ma sarà che dal vivo abbiamo avuto modo di vederli plurime volte, sarà che il nuovo album “Hin Helga Kvol” non ci ha convinti al 100%…sta di fatto che questa sera lo show se lo son portato a casa sia gli Helga che gli Oranssi Pazuzu, con due performance davvero intense per quanto diverse nella connotazione musicale.
In sede live, i quattro cowboy islandesi non brillano certo per dinamicità ma oggi ci son sembrati ancora più statici del solito, complice forse anche un palco di dimensioni non troppo generose. Certo che anche avviare il concerto con i quasi 9 minuti strumentali di ’78 Days In The Desert’ non aiuta. Gran pezzo, ma l’avremmo piazzato un po’ più avanti in scaletta.
Il tour prevede la promozione del nuovo disco, ma alla fine dei conti solo tre brani fanno la loro comparsa in setlist. Grazie al cielo, due di essi sono anche tra i migliori in offerta: la title-track e ‘Hun Andar’ rappresentano una sorta di ritorno al passato, cosa che non possiamo certo dire dell’hard rock tutto sommato ordinario che caratterizza ‘Blakkrakki’ – e ad una band come i Sólstafir, il termine ‘ordinario’ dovrebbe fare lo stesso effetto che a Superman fa la kryptonite.
Comunque, il relativamente poco spazio dato al nuovo disco ne lascia in abbondanza per il meritevolissimo repertorio passato, con particolare menzione per i tre brani -inclusa l’imprescindibile ‘Fjara’ – che arrivano da quel piccolo capolavoro che è “Svartir Sandar”. Gli ultimi due pezzi danno una bella sferzata ad un concerto fino ad ora un po’ algido, ma come potrebbe essere diversamente quando dai in pasto al tuo pubblico un brano simbolico come ‘Otta’ e chiudi lo show con la bellezza infinita di una ‘Goddess Of The Ages’?
La serata si chiude con le tre band che girovagano per il parterre mentre buona parte del pubblico sfolla, lasciando gli irriducibili alla ricerca del contatto con gli artisti, che – dobbiamo dire – non si lasciano desiderare e si concedono ampiamente all’abbraccio per nulla virtuale dei propri fan.