Country e psichedelia: l’accoppiata vincente tra Orville Peck e Deerhunter
Bologna, 14 novembre 2019
I ragazzi del Covo Club di Bologna si spostano nell’ex Teatro Polivalente Occupato, ai più conosciuto come TPO, per proporre una serata che unisce due versioni non esattamente affini della grande accozzaglia che è la musica rock: un’apertura dedicata ad un astro nascente della musica country internazionale e in chiusura una band storica nell’ambiente dell’alternative rock.
Si tratta di Orville Peck e Deerhunter, ma procediamo con calma.
Orville Peck ha pubblicato il suo album d’esordio, “Pony”, all’inizio del 2019 e da subito è diventato uno dei personaggi più attesi e discussi dell’anno poiché propone un’idea totalmente diversa dell’immaginario classico del cowboy macho e virile: partendo dai soggetti delle sue canzoni, principalmente a tema queer, al suo modo di vestirsi, a metà tra Zorro e Myss Keta.
Infatti, sul palco si presenta con la sua immancabile maschera con le frange e il cappello da cowboy, oltre a tutti i classici elementi del cantante country (stivali a punta, cinturone…).
L’album viene suonato quasi per intero, proponendo sia canzoni più movimentate (‘Buffalo Run‘) che lente ballate (‘Roses are Falling‘) oltre a ‘Queen of Rodeo‘, che ovviamente ha come protagonista una drag queen – e Orville tiene a specificarlo.
Evocativo e sicuro di sé, il cantante canadese balla e si muove con una naturalezza sconcertante, come se sul palco ci fosse sempre stato, e riesce a trasformare il vecchio teatro in un saloon di nuova generazione, con cowboy con i cappelli a lustrini e drag queen.
Di tutt’altro stampo sono i Deerhunter, che salgono sul palco subito dopo.
Fronteggiati da Bradford Cox, la band torna in Italia dopo la data estiva al TOdays, che secondo me non aveva reso giustizia alla band causa l’orario pomeridiano e la troppa luce presente.
Qui invece si esibiscono dopo le 22, nel buio del locale e con solo un gioco di luci alle spalle.
Le prime canzoni provengono tutte dall’ultimo album uscito nel 2019, “Why Hasn’t everything already disappeared?”, come ‘Dead in Midsummer‘ o ‘What happens to people‘.
Ogni canzone viene interrotta da lunghi intermezzi dove le chitarre la fanno da padrone e in tutto il locale si sente un’atmosfera ipnotica e dilatata.
I riverberi e muri di suoni rendono ogni brano sempre più onirico e trascendentale, forse un po’ troppo a discapito delle parti vocali.
Immancabili sono i singoli più celebri della band, come ‘Helicopter‘ e ‘Take Care‘, dagli album precedenti.
Cox, sempre vestito a mo’ di dandy, è decisamente più introverso e cupo rispetto al suo predecessore cowboy, dimostrando sempre di più di avere un talento inaudito nel creare atmosfere lisergiche e surreali, forse anche grazie alla sua fisicità decisamente fuori dal comune.
A causa di un difetto genetico, infatti, il cantante ha gli arti più lunghi della norma e se ne lamenta ironicamente col pubblico mentre impugna una chitarra dal manico, per lui, troppo corto.
Il concerto termina così com’è iniziato, surreale e intenso, con due vecchissimi brani: ‘Agoraphobia‘ uscito nel 2008 e ‘He would have laughed‘ del 2010.
Intensi e coinvolgenti, questi due live entusiasmano e colpiscono tutto il pubblico presente, a tal punto che se eri venuto solo per la prima band ti sei per forza innamorato della seconda e viceversa.
Orville Peck è una vera e propria rivelazione, dimostrando che anche generi storici come il country possono ancora essere stravolti e rivoluzionati, mentre i Deerhunter si confermano una certezza, un porto sicuro in cui approdare per chi cerca conforto nella psichedelia.