Coldplay, la musica dell’Universo è tutta qui
ALLO STADIO OLIMPICO DI ROMA LA PRIMA DI QUATTRO DATE SOLD OUT
Quello dei Coldplay è a tutti gli effetti l’evento più atteso dell’estate romana
Roma, 12 luglio 2024
Ventuno anni di attesa di ci sono voluti prima che i Coldplay facessero tappa nella capitale. Lo fanno nel torrido luglio, con quattro date allo Stadio Olimpico nell’ambito della terza parte
del The Music of the Spheres World Tour. La scaletta è ormai rodata e si divide in quattro atti che alternano i grandi successi di inizio carriera con le ultime produzioni. Settantamila le presenze, tutte in perenne visibilio.
Chris Martin, con meno presenza scenica, si sta sostituendo per carisma a quello che per oltre trent’anni è stato Bono Vox. È indiscutibile che ormai sia la popstar britannica sempre in prima fila a sostegno di eventi benefici, come fece dopo gli attentati di Manchester o per il trentennale di ‘Do They Know it’s Christmas?’. E io credo che i Coldplay abbiano, se vogliono, una capacità di scrittura davvero lirica che supera i confini della semplice canzone pop. Però vorrei fare un passo indietro (o anche di più).
La band si forma a fine anni Novanta nel pieno di quello che è passato alla storia come il Britpop, frutto della rinascita politica e sociale durante gli anni del governo Blair (il famoso Cool Britannia). Il primo disco dei Coldplay, quello con l’eterna ‘Yellow’, è frutto di quella storia che trascinava con sé l’eredità della New Wave e anche della scena baggy di fine anni Ottanta. Una nuova forma di alternative music di grosso impatto mediatico. Capacità che divenne ancora più evidente con l’album “X&Y” che ha consegnato ai fan e alla loro carriera quella gemma che è ‘Fix You’. Seguiranno altri classici come ‘The Scientist’, ‘Clocks’, ‘Don’t Panic’ e ‘In My Place’, ad esempio. Sempre su quella scia. Poi, legittimamente, hanno avuto bisogno di qualche tempo di pausa prima di tornare con scelte artistiche un po’ diverse – le stesse che hanno consacrato la loro carriera al grande pubblico.
La band di ‘Viva La Vida’, o delle più recenti ‘Paradise’ e ‘Higher Power’, è oggi mainstream. Da serata degli Oscar, molto colorata, molto Pop. Sia chiaro, non c’è nulla di male e anche lo show che costruiscono è improntato a queste scelte: i fuochi d’artificio, i palloncini colorati, i messaggi sociali, le dediche al pubblico, le collaborazioni in altre date con artisti del luogo. Ma c’è un passaggio che mi lascia davvero perplesso.
Una band come i Coldplay ha bisogno ad ogni tappa del tour di interrompere la scaletta per dedicare 5 minuti ad una canzone che loro, o chi per loro, ritengono rappresentativa della città in cui suonano? A Napoli hanno fatto ‘Napul’è’, a Milano ‘O mia bela Madunina’. A Roma uno stornello a metà tra ‘Arrivederci Roma’ e Gabriella Ferri. Perché? Ne capisco poco il senso specie se poi in altre tappe, come a Manchester, chiamano Tim Booth ed eseguono ‘Sit Down’ dei James. A Glastonbury hanno reso omaggio a M.J. Fox che ha suonato con loro ‘Fix You’.
Un’altra cosa. L’Italia, e ancora di più Roma, fatica a scrollarsi di dosso questa immagine provinciale a metà tra Canzonissima e una trattoria a Trastevere. I Coldplay sono una grandissima band ma penso non siano ancora all’apice della loro carriera, anzi. Possono ancora dare tanto e forse dovrebbero andare oltre questa fase autocelebrativa che in qualche modo ne limita il percorso. Martin ha una capacità di scrittura che ha davvero pochi eguali. In molte tappe inglesi è capitato di sentirlo coverizzare ‘Don’t Look Back in Anger’ degli Oasis: ecco, Noel Gallagher ha sempre detto che la rockstar non deve lanciare messaggi ma deve fare musica anche sul palco. Forse anche questo pensiero è eccessivo, ma quando si ha del talento artistico bisogna coltivarlo profondamente per rispetto del proprio dono.
A diventare Bob Geldolf e Bono Vox, ammesso che abbia senso e lo si voglia davvero, c’è sempre tempo.
Spero che i Coldplay tornino dai braccialetti glitterati all’inquietudine creativa e lirica degli esordi. Lo merita anzitutto la musica, che ha bisogno di vedere esplodere il loro talento
per ancora tanti anni.