CARACALLA FESTIVAL 2024 | Samuele Bersani
Spazio di autofustigazione: c’era una volta un tour operator di Atene che nell’augurarmi una buona permanenza nella capitale greca, mi salutò dicendomi: «poi mi racconti com’è l’Acropoli, perché non ci sono mai stato». Prima di stasera avrei detto io la stessa cosa a proposito di Caracalla. Invece da questo momento metto la spunta sulla casellina corrispondente al complesso termale di epoca romana. Scherzi a parte, sono emozionato. I concerti servono anche a questo.
L’entrata sembra l’imbarco in top class di un Boeing 777. Perdo il conto dei “buonasera Signore” degli addetti dell’organizzazione e dei sorrisi delle hostess, impegnate nel consueto, terribile, compito di accompagnamento ai posti dei più sprovveduti tra gli spettatori. Ho il mio posto, ma mi piazzo in alto, al centro, immediatamente davanti alla regia audio e luci. Il posto che preferisco, accanto alla metà nascosta dello show. Un colpo d’occhio sul pubblico, tornasole dell’andamento del concerto, e due parole con l’ingegnere del suono che ti fa fotografare la scaletta. Quando colgo, dalle piccole casse accanto al mixer, la voce del direttore di palco che chiama i “due minuti”, poi dà il via libera per l’accordatura di orchestra e l’entrata del direttore, drizzo le antenne perché stiamo per iniziare
Anche Samuele Bersani è emozionato, e condivide con noi la sua ansia con voce appena incrinata. Lo scenario, il tramonto che colorare di rosa le imponenti costruzioni, l’affluenza di pubblico (2500 persone, e anche qualcosa in più), la presenza dei suoi familiari. O forse è anche la presenza dell’orchestra a regalare quella dose di adrenalina in più. I suoni della sua infanzia, ascoltati proprio insieme al papà musicista, che compie stasera i suoi ottantasette anni, festeggiato da tutti i presenti
Il concerto di stasera può definirsi quasi un unicum nel panorama dei recenti live, italiani e internazionali: l’assenza di elettronica. Nessuna sequenza, zero campionamenti, niente click nelle cuffie del batterista. Lo ricorda Samuele, quasi a scusarsi per il suo voltarsi verso il direttore a ogni attacco di un nuovo pezzo. E lo sottolinea per evidenziare le sue perplessità sulla piega presa nell’ultimo decennio dalla musica dal vivo, laddove l’elettronica cessa di essere una scelta stilistica per diventare altro. Non è il solo a pensarla così (link all’articolo).
L’orchestra è sempre la stessa in tutte le date dei tour. Quello nei teatri ad aprile e quello degli spazi aperti che parte stasera. Scelta niente affatto scontata che privilegia la qualità della performance rispetto ai costi di produzione. Un orologio di precisione ben oliato, l’Ensemble Simphony Orchestra, diretta dal Maestro Giacomo Loprieno. Sono 22 elementi, tra archi, ottoni, legni, timpani e percussioni, alla quale si affianca una band più “tradizionale”, batteria, chitarra, contrabbasso/basso elettrico e percussioni, per un totale di 26 musicisti a riempire scena e spazio sonoro. Anche la scaletta è la stessa degli spettacoli primaverili, perfetto affresco della musica e della poetica dell’artista romagnolo di nascita e bolognese per formazione. E oggi, a nessun altro cantautore italiano la parola “poetica” si confà di più. Questo mi appare ancor più chiaro quando precisa che «ho qualche problema con il mondo reale, per questo nelle canzoni ne creo uno ideale».
È, ad esempio, in questo mondo ideale che trova spazio e respiro l’amore tra En e Xanax.
«Se non ti spaventerai con le mie paure, un giorno che mi dirai le tue troveremo il modo di rimuoverle. In due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore, e su di me puoi contare per una rivoluzione. Tu hai l’anima che io vorrei avere»
Sono le parole d’amore più belle degli ultimi trent’anni di canzone d’autore italiana. I protagonisti della storia sono i figli di ‘Anna e Marco’, nati trentaquattro anni dopo i loro genitori e oggi adulti anch’essi.
Di parole stasera ne regala molte anche al di fuori delle canzoni; dagli aneddoti di vita, ai racconti della genesi dei pezzi. Sul perché ‘Barcarola Albanese’ quasi mai eseguita nei concerti e recuperata grazie anche alla presenza dell’orchestra, appare nella stessa versione su due diversi album, agli esilaranti incontri con i fan che «mi ringraziano perché li faccio piangere». Poi si fa serio per lanciare un accorato appello all’empatia degli adulti nei confronti degli adolescenti. All’ascolto, ma soprattutto alla compartecipazione delle difficoltà emotive.
«Non sono padre, non ho figli, ma parlo da quell’adolescente che sono stato negli anni Ottanta. Essere adolescenti è sempre difficile, doloroso, lo è stato per me. E dobbiamo andare a tirar fuori quei momenti proprio quando siamo davanti ai ragazzi di oggi, perché solo così non si sentiranno soli»
Venti le canzoni eseguite nelle due ore di concerto, senza trascurare nessun album, da “C’Hanno Preso Tutto”, fino a “Cinema Samuele”. Che la sua energia arrivi al cuore degli spettatori ne è conferma la partecipazione del pubblico, coinvolto più di quanto mi possa aspettare dato l’austerità e la solennità del contesto. Le sue canzoni possiedono proprietà taumaturgiche e hanno il dono di sciogliere i nodi dell’anima.
Ci sono i grandi classici, come una frenetica e tiratissima ‘Coccodrilli’ con il suo finale latineggiante. ‘Occhiali Rotti’ nella versione con orchestra accentua il suo lato folk. Poi è il turno di ‘Spaccacuore’, con il canto collettivo sul ritornello. C’è ‘Cattiva’ che si annuncia con l’imponenza di archi e fiati e sonorità che guardano al progressive; una ‘Freak’ stravolta, con flauto e clarinetto a giocare in un botta e risposta di una citazione del Bolero di Ravel e l’apertura quasi rinascimentale di archi e oboe durante il ritornello che si fa incalzante.
Di ‘Giudizi Universali’ non serve dir nulla, se non anche qui il canto a cappella di tutto il pubblico. Chiude ‘Chicco e Spillo’ è una canzone “grimaldello”; emarginazione, violenza e dramma finale che indossano il più colorato vestito estivo e aggira così le difese. Il dolore, le sabbie mobili della vita raccontate con la leggerezza che le sublima e le trasforma in poesia, per farti scoprire che puoi ballare anche della morte.
Bersani è un maestro, il più raffinato, completo e profondo autore che abbiamo oggi in Italia. Eleganza e sensibilità che vanno a braccetto. Nessuno come lui sa mettere insieme profondità, emozione, lirismo nei testi, con originalità e ricerca nelle melodie e negli arrangiamenti. Rimette la musica al centro del villaggio e si candida a prendere legittimamente un posto nell’Olimpo della canzone d’autore italiana, accanto ai mostri sacri di tutti i tempi.
Durante tutto il concerto mi è impossibile non sentire il brivido dello spirito di Lucio Dalla che, come polvere d’oro, si posa sulla mia pelle e del quale ha raccolto a pieno titolo l’eredità. Finisce ad acclamazione collettiva. Una standing ovation che coinvolge i suoi fedelissimi così come chi lo scopre stasera per la prima volta. L’ultimo mio pensiero è la speranza di un suo prossimo concerto nella Domus Aurea; dopo stasera l’unico sito archeologico di Roma che non ho mai visitato.