Bruce Springsteen & The E Street Band, greetings from Monza Park, MB
Gli eventi atmosferici che negli ultimi giorni così tanti problemi hanno creato a Milano e zone limitrofe, avevano messo a serio rischio anche lo svolgimento del mega-concerto di Springsteen previsto presso il grande prato della Gerascia, l’enorme area verde che giace accanto all’Autodromo Nazionale, nel cuore del Parco di Monza.
Come se non bastasse, all’inclemenza del tempo si sono unite le proteste ambientaliste e le consuete discussioni sull’opportunità o meno di tenere una manifestazione di questo livello all’indomani dei disastri causati dal maltempo.
Le tutto sommato favorevoli condizioni metereologiche della giornata e gli ultimi rilievi da parte delle autorità competenti, hanno quindi messo fino a tutti i se ad a tutti i ma, sbloccando la situazione e permettendo il regolare svolgimento di quello che è certamente il più importante appuntamento dell’estate musicale meneghina.
Nel corso della giornata un flusso costante di spettatori invade il Parco di Monza: ne sono attesi 70.000, i dati ufficiali a fine serata confermano che non solo quel numero è stato raggiunto, ma addirittura superato.
Risolto in qualche modo il lievissimo problema di trovare un parcheggio, raggiungiamo finalmente l’area del concerto mentre sul palco ha appena iniziato ad esibirsi la band chiamata ad aprire l’evento, The Teskey Brother.
Australiani di Melbourne e freschi di release del nuovo album “The Winding Way”, i fratelli Teskey – il cantante Josh ed il chitarrista Sam – portano sull’enorme palco approntato alla Gerascia il loro rock-blues a tinte soul che può ricordare qualcosa della Tedeschi Trucks Band, e sebbene Sam Teskey non sia esattamente Derek Trucks, la proposta musicale del gruppo risulta particolarmente gradevole anche se forse non particolarmente adatta ad un soleggiato pomeriggio estivo (hanno iniziato a suonare alle 16:30 circa).
Da Melbourne arriva anche Tash Sultana, ventottenne cantautrice e polistrumentista che abbiamo imparato ad apprezzare con i due album fino ad ora pubblicati, in particolare il bellissimo “Terra Firma” del 2021.
Spetta a lei di precedere l’ingresso in scena dei protagonisti della serata.
Non avendo ancora avuto modo di vederla in azione dal vivo, ne abbiamo sicuramente apprezzato la presenza in questo evento, che ci consente finalmente di saggiarne le non comuni doti strumentali in un contesto diverso da quello della produzione in studio.
Salita su di un palco immenso, Tash sembra sparire tra gli amplificatori e gli strumenti di cui si circonda, da alcune angolazioni infatti è quasi impossibile vederla, ma sicuramente riesce a farsi sentire, passando con nonchalance dalla chitarra al flauto passando per il sax e la batteria, offrendosi al pubblico con la sua musica e le sue storie, come una busker capitata quasi per caso su di uno stage importante come quello di questa sera.
La rivedremmo molto volentieri, possibilmente in un habitat un po’ più intimo di quello offerto dal parco di Monza.
Sgombrato il palco dalla strumentazione della Sultana, in leggero ritardo sull’orario previsto arriva finalmente il momento tanto atteso dagli oltre 70.000 presenti: mancano pochi minuti alle 20.00, quando sulle note di una strepitosa ‘No Surrender‘ la E Street Band prende posizione sullo stage, lasciando a Bruce l’onore di entrare per ultimo, salutando tutti con un «Ciao Monza!» che dà il via a questa ultimissima tappa del tour europeo, accolto dal boato di un pubblico tanto eterogeneo quanto unito dalla comune passione per questo indomito 73enne e per le sue storie di vita vissuta, che trasformano per quasi tre ore la Gerascia in una succursale del New Jersey, il Parco di Monza come Asbury Park.
Mentre miglia di braccia si alzano al cielo, facciamo girare lo sguardo tra il pubblico delle prime file.
Qualcuno piange commosso, qualcun altro pare colto da estasi divina.
Altri ancora tentano disperatamente di avanzare, conquistando posizioni sempre più prossime alla front-row, incuranti delle maledizioni provenienti da chi quella posizione se l’è conquistata con ore di attesa.
Due amiche di fronte a noi ci fanno sorridere: in due non mettono insieme 40 anni.
Una di loro non è altissima e fatica a vedere qualsiasi cosa, pressata dalla marea umana che la circonda; l’altra, molto più alta, tiene sollevato un cartellone su cui leggiamo «Only you, Boss, can cool my desire… Sing it With Me I’m On Fire’».
Da dietro qualcuno cerca di farglielo abbassare, ostruisce la visuale.
Lei si gira e dice «non è per me, la mia amica è troppo bassa e vuole assolutamente che Bruce veda il cartello».
Non saranno le proteste di chi sta dietro ma i dolori ai muscoli delle braccia a far sparire dalla nostra vista, per lo meno momentaneamente, quel benedetto cartello.
Per chi ha avuto la fortuna e i soldi per accedere al pit sotto al palco, l’esperienza risulta assolutamente amplificata.
Puoi sentire le vibrazioni della musica entrarti dentro, il basso pulsarti nel petto.
Bruce si introduce tra la folla, si aggira nello spazio tra le transenne ed il palco e ti canta ad un palmo dal naso – ed a quel punto te ne freghi se stia cantando ‘The River‘ o la vispa Teresa, l’unica cosa che conta è essere qui, che sia la tua prima volta di fronte al Boss, o il tuo ventordicesimo concerto della E Street Band.
C’è chi tiene il conto dei pezzi, chi controlla le scalette dei concerti precedenti, chi continua a farsi i cavoli propri ma è qui solo perché è l’evento con la E maiuscola di questa estate meneghina, e chi ascolta rapito in religioso silenzio.
Il concerto in sé non si discosta molto da tutte le altre date di questo tour: i ritocchi alla scaletta sono minimali e chi si aspettava qualcosa di speciale visto che si trattava dell’ultima data del tour non è stato particolarmente accontentato.
L’altalena di emozioni è comunque garantita, e sa da una parte il Boss ha dato in pasto al pubblico la solita, fantastica carrellata sui brani storici, dall’altra ha proposto una studiata selezione dagli ultimi lavori, che sul palco traspaiono avvolti da quella sottile vena malinconica di chi, raggiunta una certa età, rivolge uno sguardo al passato ponendosi domande e provando a darsi risposte.
Perché lui è ‘The Last Man Standing‘, come il protagonista dell’omonimo brano, dedicata all’amico scomparso George Theiss, con cui aveva suonato nei Castiles, e di come dei Catiles sia l’ultimo sopravvissuto.
«L’ultimo eterno regalo che la morte dona ai viventi è una visione più ampia della vita», dice Bruce per introdurre il brano, ed è proprio nel monologo con cui presenta questa canzone che troviamo un po’ lo spirito con cui l’attuale Springsteen affronta la vita, la morte e tutto ciò che sta in mezzo ad esse.
Che dire della E Street Band?
Little Steven sembra rinato, la sua forma fisica non è ancora tornata quella di un tempo, ma non l’abbiamo visto così bene da diversi anni a questa parte, quasi rigenerato rispetto al Van Zandt davvero troppo imbolsito e statico che avevamo visto nei tour precedenti.
Ed è fantastico vedere con i propri occhi l’alchimia che ancora esiste tra lui e il Boss, con quegli ilari siparietti e le reciproche prese in giro.
E come non commuoversi quando i due cantano insieme nello stesso microfono il chorus di ‘Glory Days‘?
Nils Lofgren è impeccabile come sempre, anche per lui gli anni stanno avanzando inesorabili, poi però ti stende con la sua ritmica in ‘No Surrender‘ o ti fa venire brividi altri 4 centimetri quando parte con l’assolo mozzafiato di ‘Because The Night‘.
Roy Bittan (74 anni) e Max Weinberg (72 anni) sono la solita, solida, certezza.
Nel backstage si è anche intravisto Jay, il figlio di Max, che fa lo stesso mestiere del padre – ma lo fa negli Slipknot.
Ottimi anche i coristi e la sezione dei fiati, che tinteggiano di rythm’n’blues brani come ‘Johnny 99‘ e letteralmente risplendono su ‘Tenth Avenue Freeze-out‘.
Il sax di Jake Clemmons non fa rimpiangere lo zio Clarence, e la sua presenza nella E Street Band non può e non deve essere inquadrata solo in quel senso di famigliare continuità che lega il Boss ai suoi musicisti.
Il finale di concerto è devastante, sia dal punto di vista musicale che quello più epitelialmente emotivo, con una sequenza da urlo che mette in fila ‘Badlands‘, ‘Born To Run‘, ‘Bobby Jean‘, ‘Glory Days‘ e ‘Dancing In The Dark‘, prima di celebrare la E Street Band con il brano che la definisce, ‘Tenth Avenue Feeze-Out‘.
Nel mentre, dai grandi schermi ai lati ed al centro del palco spuntano le immagini di Danny Federici e Clarence Clemons, che ci osservano dall’alto: quasi dieci minuti che sono un autentico rollercoaster emotivo.
Nel gran finale viene rispolverata una ‘Twist And Shout‘, arricchita con un breve innesto de ‘La Bamba‘ che fa ballare tutti i 70 e rotti mila presenti. Non è ancora finita, perché se la E Street Band ha lasciato il palco, Bruce è ancora lì, in mezzo al palco, chitarra a tracolla e armonica, per chiudere malinconicamente la serata con ‘I’ll See you In My Dreams‘, un brano che potrebbe suonare come un addio.
Ma è il Boss stesso che, salutando Monza, fuga ogni dubbio promettendo di tornare presto, proprio quando sugli alberi che rimangono dietro all’area concerti appare una scritta luminosa a caratteri cubitali in cui possiamo leggere tre magiche parole: Come Back Soon.
Si spengono gli echi del concerto, si accendono le luci ed arriva per gli oltre i 70.000 il momento di affrontare quella piccola odissea che sarà uscire dal palco di Monza per tornare a casa.
Ma questa è tutta un’altra storia.
San Siro 2024?
I rumours ne parlano già, ma di certezze ancora non ne abbiamo, se non quella che ancora una volta saremo lì, ai suoi piedi, ballando nell’oscurità.