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BOnsai 2024 | Mogwai

I MOGWAI CONCLUDONO IL TOUR ITALIANO A BOLOGNA

La band scozzese passa dal Sequoie Music Park al BOnsai dopo un cambio location

Bologna, 15 luglio 2024

È lunedì sera e l’asfalto come burro scivola sotto le scarpe mentre di buon passo si entra nell’apparente meno torrido Parco Caserme Rosse. Siamo qui per l’ultima tappa italiana dei Mogwai, band post-rock di Glasgow, che il prossimo anno festeggerà i 30 anni di attività.

Da una voce pescata a caso nell’area ristoro del parco, scopro che il concerto non sarà più sul palco del Sequoie Music Park ma è stato spostato nell’adiacente palco del BOnsai.

Le due aree concerto sono a circa 50 metri di distanza, due cugine che portano avanti due festival contemporaneamente. Una un po’ più grandicella e, a detta degli uditofino, anche quella con una miglior diffusione del suono; l’altra un po’ più piccina e con un impianto meno performante, o almeno così dicono. Ci spostano in quest’ultima, dove lo spettacolo in calendario è saltato. Sudo dalla preoccupazione e dalle folate di aria bollente.

Sono passati due anni dall’ultima volta in cui ho visto live i Mogwai. Ero al Vox di Nonantola e ricordo perfettamente il balzo all’indietro, fatto dalla prima fila, sulle prime note. Una vibrazione di potenza sovrumana avrebbe potuto staccarmi la pleura dai polmoni! Ma non è quel che succede questa sera al BOnsai. Con l’apertura di ‘I’m Jim Morrison, I’m Dead’, per quanto la pelle d’oca abbia attraversato tutti i miei bulbi piliferi, il volume è ancora piuttosto debole. Parliamoci chiaro e prendiamo tutto con le pinze: i Mogwai ci hanno abituato a muri di suono di spessore elevato, sentirli a volume normale  fa arricciare il naso. Sì, è vero, siamo in un parco all’aperto, ci sono le cicale canterine sugli alberi e il suono si disperde, però…

Durante il primo brano noto la presenza di una tastierista. È l’artista, compositrice e improvvisatrice newyorkese Maria Sappho, che vedremo diverse volte salire sul palco ad arricchire la presenza di Stuart Braithwaite, Dominic Aitchison, Martin Bulloch e Alex Mackay.

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Sulle prime note di ‘I Know What You Are, But What Am I?’, il sesto brano in scaletta è accolto dall’applauso del pubblico: Braithwaite abbandona la chitarra per inginocchiarsi al cospetto della pedaliera. Eccolo procedere con la tessitura di un’imponente tela sonora distorta, coadiuvato da tutta la band, con un crescendo di riverberi armonici che hanno trasportato il pubblico dalla fase di attenzione a quella della perdizione emozionale.

Sulla successiva ‘Dry Fantasy’, con quelle note vagamente orientaleggianti, lo stato di trance è all’unisono. Tutti si muovono come le onde del mare: agitato ma in perfetta armonia. ‘Hunted by a Freak’ mantiene alto il livello di smarrimento. È un continuo salire, un crescendo di suoni, distorsioni, rumore. Un uragano che va aumentando, come a voler fare le grandi pulizie a questo mondo disorientato. Sembra di essere travolti da un vento di tempesta, sollevati da terra come foglie mentre è in atto un bombardamento: demolizione e ricostruzione dei sensi.

‘Old Poison’ è la quiete prima della tempesta finale che ci accompagnerà all’encore con ‘Ritchie Sacramento’, la sola cantata da Braithwaite, fino alla deflagrazione planetaria totale con ‘Mogwai Fear Satan’, un concentrato atomico di tutta la loro peculiarità sonora.

Unica pecca della serata? A livello tecnico, la batteria. Non so se fosse amplificata male o se qualcosa abbia preso voli diversi, ma tant’è: il suono era davvero brutto. Pof, popof, popopopofff, pof… chiudendo gli occhi ricordava l’eco ravvicinato di uno spettacolo pirotecnico. Peccato.

I Mogwai sono un ipnotico susseguirsi di tenebre e luce, estasi, perdizione, lacrime, euforia, una boccata di ossigeno liberatorio. Un riconoscimento della bellezza celata dall’incudine che a volte ci circonda e che ci ha reso assuefatti. Grazie per la levigata.

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