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Blackberry Smoke

Blackberry Smoke, con Brit Turner nel cuore

«Gone but not forgotten»: all’Alcatraz si chiude il tour europeo dei Blackberry Smoke

È il primo impegno live dopo la scomparsa di Brit Turner

Milano, 03 ottobre 2024

«Italia, ti amiamo, ci rivedremo presto», disse Charlie Starr accomiatandosi dal pubblico che il 7 marzo 2023 gremiva l’Alcatraz ed aveva appena terminato di assistere all’infuocato set della sua band, i Blackberry Smoke. Ed è stato assolutamente di parola. A distanza di poco più di un anno e mezzo, Charlie e compagni son tornati a farci visita. Stesso luogo, stessa ora, direbbe qualcuno.


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Terminato il tour precedente, la band si è rinchiusa in studio per registrare “Be Right Here”, l’ottavo album di una formazione che, ridendo e scherzando, è quasi arrivata al quinto lustro della propria esistenza. Pur non essendo destinata a venir ricordato come un capolavoro, “Be Right Here” è comunque un disco solido, derivativo quanto volete, ma onesto, diretto e scritto con il cuore, un cuore ancora una volta immancabilmente avvolto nella bandiera confederata.

Mentre registravano, le notizie circa lo stato di salute di Brit Turner, il batterista co-fondatore della band (nonché fratello del bassista Richard) si facevano sempre più preoccupanti, a causa dell’aggressività del glioblastoma di cui soffriva da tempo. L’album viene pubblicato nel mese di febbraio di quest’anno, Brit fa in tempo a vederlo nei negozi prima di arrendersi definitivamente alla malattia: meno di un mese dopo, i Blackberry si trovano a doverne piangere la scomparsa. Aveva solo 57 anni.

Un duro colpo per la band, dal punto di vista musicale (il tocco di Brit era inconfondibile) ma anche e soprattutto dal punto di vista umano. Come nella migliore tradizione southern, i Blackberry non sono solo una band: sono una sorta di fratellanza, una di quelle entità per le quali il valore dell’insieme è superiore alla somma delle singole parti. E quando una di queste parti viene a mancare, le conseguenze non sono sempre prevedibili.

Con un album sul mercato e l’imminenza di un nuovo, impegnativo tour di concerti, i cinque superstiti han dovuto trovare la forza e la determinazione per superare il lutto, stringere le file e continuare, accogliendo in seno alla band il nuovo batterista. Nuovo poi per modo di dire, perché Kent Aberle non è un estraneo, avendo avuto modo di sostituire Brit in alcune date, quando la malattia – già molto avanzata – non gli aveva consentito di salire sul palco.

Stesso luogo, stessa ora, si diceva. L’Alcatraz si presenta allestito nella sua versione a palco grande, con un tendone che ne limita un poco la capienza totale – pur non essendo sold-out, per questa serata l’affluenza di pubblico è da considerarsi più che soddisfacente.

Alle 20:00 precise tocca a Bones Owens riscaldare i presenti. Lui è un cantautore/chitarrista che viene da Nashville ed ha alle spalle un paio di EP, un mini-album e due full-lenght, tra cui il recente “Love Out Of Lemons”, uscito lo scorso mese di luglio. Accompagnato da Doy Gardner (batteria) e Sonny Remlinger (basso e tastiere) con i quali forma un power-trio che più classico di così non si potrebbe, Owens occupa il suo slot da tre quarti con il suo hard-blues ad alto voltaggio: solido, concreto e graziato da un song-writing decisamente efficace, nonostante qua e là non sia troppo difficile individuare sonorità neanche troppo velatamente ispirate ai Black Keys ed ai White Stripes.

Volumi a palla, e batteria in grande evidenza per uno show che conta una decina di brani in scaletta, tra i quali spiccano una viziosissima ‘Devil Gonna Getcha’, una ‘White Lines’ preceduta da un accenno di ‘Rock’n’Roll Ain’t Noise Pollution’ degli AC/DC e la conclusiva, roboante ‘Bout Time’. Una bella scarica di adrenalina, perfetta per aizzare il pubblico che attende con impazienza lo show dei protagonisti di questa serata.

Bones Owens
Bones Owens

Non si fanno attendere Charlie Starr e compagni. Sono le 21:15, e l’inconfondibile riff di ‘Working For A Workin’Man’ riporta i Blackberry Smoke sul palco dell’Alcatraz. Ecco, tra i tanti pregi di queste band dobbiamo assolutamente citare la buona abitudine di non proporre mai per due sere di seguito la stessa set-list. Ogni concerto fa storia a sé, non sai mai cosa ti capiterà. Pur sapendo che tanto quelle cinque o sei presenze fisse prima o poi in scaletta saltano fuori, è bello lasciarsi sorprendere e cercare di indovinare quale sarà il prossimo pezzo. Un po’ come quando vai al ristorante e, invece del solito menù, i piatti del giorno te li devi andare a leggere sulla lavagna, scritti con i gessetti.

Si diceva dello spirito di fratellanza che anima la band – sul palco questo spirito è assolutamente evidente e palpabile – l’intesa tra i nostri sei è totale, e lo si nota dalle frequenti interazioni e dagli sguardi sorridenti con cui i comunicano tra loro. Ciononostante, è chiaro che la star, o meglio – la Starr dello spettacolo è Charlie, inevitabilmente al centro dell’attenzione, sempre sorridente in mezzo al palco, con quei basettoni che sembrano due criceti attaccati alle orecchie e la chitarra a tracolla, mentre girovaga in lungo ed in largo, da vero e consumato leader: essere rockstar senza fare la rockstar. Autorevolezza e carisma non hanno bisogno di ulteriori esibizionismi.

I Blackberry Smoke non sono certo la band più originale in circolazione. Nel loro repertorio possiamo trovare richiami a praticamente l’intero scibile della musica popolare americana, dal blues al southern rock passando per il country e l’hard rock, con citazioni più o meno involontarie a mostri sacri come Neil Young e Tom Petty, per non parlare dei fratelli Allman o dei Lynyrd Skynyrd. Richiami che comunque non sono mai fini a sé stessi, sempre calati in un song-writing genuinamente coinvolgente, irresistibilmente catchy e che profuma di un amore viscerale per queste icone che del rock americano hanno definito contesti e confini.

La setlist di questa sera non presenta particolari sorprese. Un forte contributo lo dà, per ovvie ragioni, il nuovo disco, da cui ci fanno ascoltare sei pezzi, tra cui il singolo ‘Hammer And The Nail’, la malinconica ‘Like It Was Yesterday’, dedicata al povero Brit, ed una splendida ‘Azalea’, uno delicato slow graziato dal meraviglioso finger-picking di Charlie Starr. Per non parlare di ‘Watcha Know Good’, con quella coda finale che si trasforma in un accenno di ‘Stairway To Heaven’.

Sei pezzi arrivano anche da quello che a parere del vostro umile reporter risulta essere il capolavoro degli Smoke, ovvero “The Whippoorwill” – non per niente, la splendida title-track sta ai Blackberry Smoke come ‘Free As A Bird’ sta ai Lynyrd Skynyrd, e con pezzi come ‘Ain’t Got The Blues’, ’Sleeping Dogs e – soprattutto – ‘Ain’t Much Left Of Me’, difficilmente poteva uscirne un album mediocre.

Come si diceva, anche se la scaletta prevede continue rotazioni, ci sono sempre almeno 4 o 5 pezzi sostanzialmente obbligatori, magari piazzati in parti differenti dello show, ma comunque presenti. E tra queste, a parte la già citata ‘The Whippoorwill’ anche questa sera non potevano mancare le varie ‘Hey Delilah’, ‘Old Scarecrow’ e ‘Waiting For the Thunder’, con l’esaltante botta e risposta tra Charlie e il pubblico dell’Alcatraz sulle strofe che precedono il chorus.

Trattandosi dell’ultimissima data di questo loro tour europeo, la band deve aver deciso di chiudere col botto, con un encore in assoluto crescendo che mette in fila ‘Dont Mind If I Do’, le cover di ‘Mississippi Kid’ dei Lynyrd Skynyrd e di ‘Willin’ dei Little Feat per poi chiudere alla grande con ‘Ain’t Much Left Of Me’. E probabilmente dopo quasi due ore di concerto infuocato, dei Blackberry deve esserci fisicamente rimasto davvero poco. Poco, ma quanto basta per radunarsi in mezzo al palco per salutare tutti, schierati dietro uno striscione in memoria di Brit Turner che aveva fatto la sua comparsa tra le prime fila del pubblico, e subito recapitato alla band. E sulle bacchette alzate al cielo da Kent Aberle, diventa per tutti difficile trattenere un attimo di commozione.

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