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Beach Fossils live a Segrate (MI): l’abbraccio di fine estate

Da Brooklyn a Segrate, i Beach Fossils approdano sul palco del Circolo Magnolia per una delle tappe italiane di questo tour di fine estate. L’uscita del terzo album “Somersault” a giugno del 2017 ha segnato il loro ritorno sulle scene a quattro anni di distanza dall’acclamatissimo “Clash the truth”, e questo concerto offre al pubblico milanese l’opportunità di ascoltare dal vivo questi nuovi brani.

Affollano il palco in apertura i Nervous Conditions: sono in tanti, vengono dal Regno Unito, li vediamo belli stretti e compatti in una formazione che non si fa mancare nulla, nemmeno archi e fiati. Doppia batteria, un violino e un sax, da cui tirano fuori un noise soffocato e istericamente ripetitivo. Fanno strillare il sassofono, mentre la voce sbraita un po’ di suo, pur essendo giovani hanno l’aspetto travagliato e la postura malferma. Non mancano di personalità, e non rinunciano a una ruvidità nei suoni che potrebbe essere difficile da gestire.

Tutt’altro mood hanno i Beach Fossils, ed è chiaro sin dal principio. ‘Generational syntethic‘ ha una linea semplice, vibrata e diretta, mentre la voce di Dustin Payseur è naturale e sembra un po’ in sordina. La batteria veloce sostiene la linea ritmica nei pezzi più mossi, i brani nuovi sono invece leggerini e crepuscolari, caratterizzati da giri di chitarra puliti.

L’atmosfera che i Beach Fossils creano è divertita e divertente, non mancano intermezzi di cazzeggio con giri di bossanova. Nei passaggi più morbidi, il loro dream pop suona più pop che dream, quando invece prendono velocità la struttura è ricorrente: combinazione vivace di basso e batteria, chitarra semplice e riverberata, voce alquanto naturale e che rinuncia agli effetti più pesanti. I pezzi hanno un attacco sempre forte e incisivo, ma quando sembra che sia giunto il momento di cambiare passo si siedono un po’ e il ritmo cala. La scelta è quella di una trama efficace ma che non si infittisce mai e non viene mai esasperata o strappata.

Ogni tanto prende piede il riverbero delle chitarre, mentre non si avverte quel mood lo-fi che è peculiare del movimento underground newyorkese a cui i Beach Fossils appartengono, uno stile scarno e grezzo che è rimasto in studio a favore di una resa sul palco più pulita. Quando i pezzi partono quieti e poi si aprono, come accade in un paio di occasioni, il pubblico si scalda anziché intiepidirsi, con un impatto ben diverso, come pure per ‘Careless‘ con un tono acuto e ondulato. Altri brani sono invece influenzati dalla sofisticazione che rallenta e arricchisce, ma tende anche ad appiattire.

Quando parte l’encore ci prende quasi un colpo, ‘Crashed out‘ ha una velocità quasi supersonica rispetto agli standard sui quali ci eravamo accomodati, ed è carica di nitido riverbero. I Beach Fossils richiamano on stage i Nervous Conditions, e dopo un’affollata ballatona accade quello che non era previsto: due gruppi, dodici musicisti che si trasformano in un mucchio di deficienti e improvvisano una jam session in stile karaoke: la cover di ‘Wonderwall‘ degli Oasis con i due frontman a imitare i fratelli Gallagher fa piegare dalle risate, per poi passare in rassegna Nirvana, Radiohead e Fatboy Slim. È l’ora della ricreazione che giunge a fine concerto, un’appendice demenziale a un concerto vibrato, con cui i Beach Fossils scelgono di non travolgere ma di abbracciare il pubblico.

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