Baustelle live a Padova: un viaggio nel tempo
In che periodo siamo?
A cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 direi, con i sottofondi tipici dei film dell’epoca e le camicie stampate che portava anche mio padre nelle Polaroid in soffitta.
Potrebbe essere, invece è venerdì 27 aprile 2018, siamo al Gran Teatro Geox di Padova e il quadro d’annata che ho davanti è quello dei Baustelle, nell’ultima data della prima parte del tour “L’Amore e la Violenza Vol.2”.
Un quadro completo, incorniciato alla perfezione da un palco ben strutturato: i toni giallo-arancio di luci morbide, l’atmosfera un po’ cupa, la scritta luminosa “Baustelle” capeggia sullo sfondo a tratti netti.
La conformazione è singolare, due dei componenti danno le spalle al pubblico e armeggiano su una consolle installata al centro del palco.
Gli altri si dispongono di seguito e si alternano agli strumenti, le voci di Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi condividono la scena primaria, più grintosi e meno introversi rispetto a come li ricordavamo nei tour precedenti.
Dinamismo sì, ma nello stile distaccato di sempre che non prevede troppe interazioni con il pubblico e comunque in linea con l’evoluzione indie dell’ultimo anno, che conduce gli artisti fuori dagli schemi intimi dei piccoli club per incontrare l’energia di spazi più grandi e pubblici più numerosi.
L’insieme ha delle buone premesse e lo show in effetti le rispetta tutte.
‘Violenza‘, ‘Perdere Giovanna‘, ‘Amanda Lear‘, ‘Il Vangelo di Giovanni‘ sono tra i brani meglio riusciti della serata (e anche più ascoltati nelle playlist indie di Spotify) come anche i più datati ‘I Provinciali‘, ‘Monumentale‘, ‘Le rane’ e ‘La guerra è finita‘.
Uno spettacolo maturo, da cui emerge una piacevole evoluzione da parte della una band che è riuscita negli ultimi anni ad affinare una personalità sottile, non invadente, fatta di sfumature, di citazioni e dettagli da cogliere, sia nel senso estetico che nei testi che trovo scorrevoli, a tratti ridondanti, ma sicuramente non banali.
Dal pit si alza un’osservazione che mi trova concorde: sul palco sono in tanti, eppure il suono non esplode, non si distingue l’importanza dei singoli strumenti nell’insieme. Composizione di qualità, certo, ma forse un pochino timida?
Il pubblico è numeroso, non riempie però tutti gli spazi di un teatro che comunque, difficilmente risulta denso di spettatori.
I volti sono misti, dai giovanissimi ai gruppetti “meno giovani”, tra cui spicca un signore forse sui 70 anni, che se la canta in solitaria di tutto trasporto e che personalmente osservo con grande stima e tenerezza.
Un viaggio nel tempo? Una rinnovata passione per i suoni sintetici?
Non lo so, ma qualsiasi cosa sia, non mi dispiace.
Le foto sono relative al concerto di Napoli, clicca qui per vedere la gallery completa