Barezzi Way 2024 | dEUS
Il viaggio sonoro dei dEUS infiamma la data del Barezzi Way a Piacenza
Il programma del festival continuerà nella natia Parma dal 14 al 16 Novembre
Piacenza, 09 Novembre 2024 | Ph. © Giulia Di Nunno
I dEUS hanno chiuso in grande stile i live diffusi del Barezzi Festival che tra pochi giorni tornerà ad abbracciare Parma, sua città madre.
La trasferta piacentina si preannunciava imperdibile, e così è stato: i dEUS, band tra le più iconiche e innovative della scena rock internazionale, hanno conquistato il pubblico con una performance che ha unito eleganza e raffinatezza musicale a un energia travolgente.
Non solo una semplice esibizione, ma un’esperienza sonora che ha spaziato tra momenti di pura potenza e passaggi più intimisti, tutti impreziositi dall’inconfondibile stile e dalla personalità del gruppo.
Raggiungiamo Piacenza, il capoluogo di provincia più a ovest dell’Emilia e che in molti vorrebbero in Lombardia (concordo e propongo un equo scambio con l’area mantovana a sud del Po).
La nebbia non manca e ne avremmo fatto volentieri a meno.
Si parcheggia a ridosso del centro, in un parcheggio multipiano, interrato, risalente all’epoca in cui le autovolanti e avvenieristiche chiamate SUV non erano nei sogni e nemmeno negli incubi di nessun normodotato.
Camminando per vie semi deserte (sono le 8 di sera…) raggiungiamo le porte ancora chiuse del Teatro Municipale: poche persone in attesa, scopriamo che la band sta concludendo di cenare poco distanti da lì. Decidiamo di perderci qualche via più in là per un trancio di pizza e la voglia inesaudita di un caffè.
Tornati al Municipale, è una lunga ma composta fila ad accoglierci e ad accompagnarci all’interno in questa venue risalente ai primi dell’Ottocento.
Il teatro non è sold-out, sono passati solo 5 mesi dalla loro ultima esibizione al Firenze Rocks in apertura ai TOOL e poco più di un anno dalle date di Milano, Roma e Siena a supporto di “How To Replace It”, l’ottavo album uscito a distanza di oltre 10 anni dal precedente “Following Sea”.
Sono le 21:15 quando il palco, avvolto da una semioscurità, accoglie tra gli applausi i fondatori della band, Tom Barman e Klaas Janzoons. Il primo in camicia scura e pantaloni a righe orizzontali, che ricordano i costumi di scena del film Sing Sing, mentre Janzoons in pantalone bianco e scamiciato simil kimono estivo sui toni della primavera. Al loro seguito ci sono Mauro Pawlowski, Alan Gevaert e Stéphane Misseghers che dal 2012 completano in pianta stabile il quintetto belga.
Credo sia stato proprio nel 2012 (o giù di lì) l’ultima volta che li ho visti in concerto, in quella che un tempo era la gloriosa Festa dell’Unità di Modena.
‘How To Replace It’, title track dell’ultimo album, apre lo spettacolo in un’ovazione generale: sembra di essere travolti da cavalli in corsa e ti chiedi per quali assurdo motivo, certi concerti, siano a teatro e non in venue dagli spazi liberi. Certo, nello stare comodamente seduti si compiacciono quelle anche stanche e lombalgie accusatorie che solo noi di una significativa maggiore età possiamo comprendere.
Su ‘Quatre Mains’ si sovvertisce ad ogni regola del bon ton teatrale alzandoci tutti dalla comodità, su invito del frontman Barman.
ANARCHIA! C’è chi si risiede poco dopo, chi resta in piedi ignaro dei (ri)seduti dietro che imprecano in aramaico antico, chi va sotto palco non mollandolo più, chi si perde e sparisce in chissà quale anfratto ottocentesco. Mi piace questo “caos” teatrale, mentre le nostre orecchie sono attraversate da una perfetta miscela di brani più recenti e brani estratti dalla loro lunga discografia.
‘The Architect’ è l’anticamera del groove pazzesco di ‘Man Of The House’. Segue ‘Worst Case Scenario’, poi senza abbandonare il microfono Barman imbraccia la chitarra acustica per rispolverare l’affascinante ‘Instant Street’, brano che fa divampare il fuoco in platea e che sul finale si trasforma in un lancio nel vuoto in cui ti appigli ad un gancio di sicurezza a pochi metri dallo schianto. Che brividi.
Il concerto è uno spettacolo musicale in crescendo ed ero certa che i dEUS non mi avrebbero delusa. Ecco, si poteva fare uno sforzo maggiore per la scenografia, composta da un’americana che sembrava essere scivolata su uno dei due estremi, generando prurito gli amanti delle geometrie perfette. Se per un attimo chiudi gli occhi e ti senti muovere da ‘Fell Off the Floor’, ‘Man’ o dalla successiva ‘Le Blues Polaire’, alla scenografia storta non ci pensi più.
‘Serpentine’ è in grado di scavare tutta la malinconia nascosta dentro di noi per poi accompagnarci mano nella mano nell’ipnotica ‘Dark Sets In’, nella splendida ‘Hotellounge’ e nella rabbiosa ‘Sun Ra’: che gran tuffo, in un passato ricco di fermento e sperimentazione
Vogliosa di quell’energia che si respira solo un sottopalco, decido di alzarmi per raggiungere il paradiso e godermi l’ultima parte del concerto come si deve. Le divinità rendono grazie a questo gesto e ci si culla spettinandosi sulle note di ‘Nothing Really Ends’. Uno dei brani più rappresentativi della discografia della band. Il calice di un corposo vino rosso, sarebbe stato un ottimo compagno intimista per questo brano trasognante e disperato.
Dopo ‘Bad Timing’, ci si avvicina al termine di questo viaggio sonoro. Il quintetto belga si ritira pochi istanti prima dell’encore finale.
Spetta a ‘Little Arithmetics’ e alla tagliente ‘Suds And Soda’, dopo un fulmineo viaggio A/R tra gli anni ’90 e il 2024, chiudere le quasi due ore di un concerto strepitoso che entra di diritto a far parte del concerto più bello del Barezzi Festival 2024. Almeno per ora.