Arch Enemy live a Milano: il ciclone del “Will to Power tour” espugna l’Alcatraz
La corazzata Arch Enemy approda il 17 gennaio 2018 all’Alcatraz di Milano con Alissa White-Gluz alla guida di questo mini-festival che sta riscuotendo un incredibile successo, registrando plurimi sold out in giro per l’Europa.
L’attesa è grande e si evince dalla moltitudine di gente che già all’apertura dei cancelli riesce a riempire per quasi 2/3 la platea del locale che, per l’occasione, allestisce il palco laterale – una scelta tecnica, quest’ultima, ottimale in termini di riempimento che va a discapito della qualità visiva da parte del pubblico.
Il bill dell’evento è di alto livello e vede protagonista la band ucraina dei Jinjer, gli oscuri Tribulation e i finlandesi Wintersun, ottimo supporto ai comandanti Arch Enemy.
I Jinjer, forti dei primi due album coi quali hanno iniziato a seminare fedeli in giro per l’Europa, presentano qui il loro terzo lavoro: una proposta musicale molto varia e non soltanto legata al metalcore.
All’ascolto la sensazione è quella di una band solida, veloce e musicalmente varia.
La voce della bella Tatiana Shmailiuk non rimane mai legata alla catena del growl, come invece potrebbe essere per la capitana degli headliner, ed è ben gestita: regala bei vocalizzi e melodie anche nel cantato pulito.
Ben amalgamata anche la band che con Roman Ibrankhalilov alle chitarre, Eugene Abdiukhanov al basso e Vlad Ulasevich alla batteria non teme né di spingere sull’acceleratore del groove pesante né di variare su toni djent e blues (sempre spinti) contro un muro metal ben sostenuto.
Begli esempi sono ‘World of Wisdom‘ e ‘Sit Stay Roll Over‘, per cambiare ancora in salti di ritmo e vocalità con ‘I Speak Astronomy‘, ‘Just Another‘ e ‘Pisces‘ sino alla conclusiva ‘Who is Gonna Be The One‘, dove alla voce sembra di sentire la prima Gwen Steffani.
Una prova eccellente minata solo dai suoni poco affini alla serata e alla prestazione della band.
È mia personale opinione credere che la band vincitrice del “Best Metal Ukraine Band 2016” sia stata inserita nella serata per spingere al meglio la propria visibilità ad un pubblico più ampio, nonostante il sound non sia del tutto accostabile a quello delle altre band presenti.
Nel 2017 i Jinjer hanno fatto diverse date in Italia e l’augurio è quello di rivederli quanto prima ma assolutamente in un altro contesto.
Da sottolineare anche la disponibilità e la gentilezza di Tatiana Shmailiuk, che dopo lo show è scesa tra il pubblico a fare foto e dispensare sorrisi, parole e autografi.
Cambio deciso di atmosfere con i Tribulation.
Gli svedesi hanno dato uno stacco importante e quasi scioccante all’evento, in quanto hanno proposto un set molto incentrato su atmosfere death e dark, distanti dal mood degli opener e dagli headliner.
Sfoggiano però un’importate presenza scenica e si vede l’impegno dei nostri nel condurci nel loro mondo, non sempre intellegibile, fatto di atmosfere a volte prog e a volte heavy.
Dimostrano da subito di saperci fare con il nuovo brano ‘Lady of Death‘, che riporta alle sonorità death degli esordi.
Molto suonato il loro album del 2015, del quale spicca la triade ‘Melancholia‘, ‘Motherhood of God‘ e ‘Strange Gateways Beckon‘.
‘Nigthbound‘, estratta dal nuovo album, ci porta invece verso il finale della loro esibizione, che si chiude con la proposizione live di ‘The Lament‘, una delle novità recentemente rilasciate.
Ottima presenza sul palco soprattutto del chitarrista Jonathan Hultén, che con la sua verve ciondola e balla quasi come fosse una fiamma nel bosco in totale contrapposizione alla solida presenza dell’altro chitarrista, Adam Zaas.
Anche i Tribulation patiscono suoni molto incerti ma il pubblico non fa pesare il cambiamento di atmosfera.
Restiamo così in attesa di ascoltare la loro ultima fatica e speriamo di ritrovarli presto dal vivo in qualche festival.
I finnici Wintersun salgono sul palco aggressivi e propositivi, forti della sensazione sempre più viva che molti dei presenti siano lì per loro.
Il frontman Jari Mäenpää urla tutta la sua potenza sorretto da una band affiatatissima anche grazie al fresco inserimento in formazione del chitarrista Asim Searah, che riversa coi compagni tutta la sua energia su un pubblico sempre più coinvolto e partecipe.
Hanno dalla loro la qualità dei pezzi ed il massiccio muro di suono che la platea fagocita e riversa verso il gruppo amplificando il tutto a livelli esponenziali.
Purtroppo neanche loro escono indenni dalla serata: decisamente insufficiente i tecnici del suono, che fanno mancare la voce per lunghi attimi rendendo impastati i suoni, tanto che il basso di Koskinen difficilmente si capisce se stia suonando realmente o meno.
Peccato, perchè i sei pezzi della setlist scivolano via veloci ed energici e sono proposti da un gruppo veramente concentrato, preciso e voglioso di presentare il terzo album – che sta raccogliendo sempre più consensi in tutta Europa.
I pezzi, partendo da ‘Awaking from the dark slumber‘, ‘Winter Madness‘ e ‘Sons of Winter and Stars‘ cavalcano sicuri sia in terreno power metal in sfuriate death.
La platea è infuocata anche per le successive ‘Loneliness (Winter)‘ e ‘Battle Against Time‘ e la conclusiva ‘Time‘ che lascia all’attesa degli Arch Enemy un senso comune di volerne ancora di più.
Smontaggio del palco abbastanza veloce e dopo un momento di attesa le note di ‘Ace of Spades‘ risuonano nel locale a memento di quello spirito che, se rimbomba forte nelle anime delle persone, non può morire.
In un boato fanno la loro comparsa quei magnifici musicisti che rispondono al nome di Arch Enemy e si scatena il delirio quando le note del singolo ‘The World is Yours‘ del decimo album si riversano sul pubblico assieme ad una bellissima Alissa White-Gluz.
L’energia si innesca da una melodia semplice, dalla presenza iconica di Alissa e da una band che sfodera musicisti incredibili quali il fondatore, il chitarrista Michael Amott, il chitarrista Jeff Loomis (Nevermore), il bassista Sharlee D’Angelo e il batterista Daniel Erlandsson.
Le singole performance sono precise, pulite, energiche e metronome, completate dalla forza vocale di Alissa che ai suoi growl alterna sporadicamente anche a buone parti in pulito.
Complessivamente la prestazione sul palco è di livello davvero alto.
La band snocciola uno dietro l’altro i successi di una carriera ventennale e lo fa a una velocità furiosa, a tratti insensibile quasi allo scatenarsi del delirio della platea.
Alla fine sono 20 i brani proposti di cui 5 tratti dal nuovo album.
Oltre al brano di apertura anche la successiva ‘The Race‘, la potentissima ‘Blood in the Water‘, ‘The Eagle Flies Alone‘ e la power ballad ‘Reason to Believe‘.
Nel set risplendono i classici ‘Ravenous‘ (di cui la melodia ricorda la opentrack del concerto) e l’ossessiva ‘No More Regrets‘.
Poi ci sono brani che colpiscono per le reazioni del pubblico: la forza ed il trasporto sono unici durante l’esecuzione di ‘War Eternal‘ e ‘You Will Know My Name‘.
Senza un attimo di respiro si corre verso la fine del concerto con un brano che Alissa dedica al pubblico, ‘We Will Rise‘.
Il rientro dalla pausa che ci porta al gran finale è affidato a due brani: il primo è il potente ‘Avalanche’ a cui segue ‘Snow bound’, dove i musici sfoderano le loro ampie qualità.
La brutale ‘Nemesis‘, che vede ancora una volta Alissa sprigionare energia sul pubblico incantando con le sue movenze a cui abbina quella voce sempre centrata portano alla conclusiva ‘Field of Desolation‘.
Gli Arch Enemy in definitiva hanno confermato il loro status di band internazionale di prima grandezza con una prestazione all’altezza.
La brigata alla fine riesce, nella tempesta di suoni molte volte inadatti e incredibilmente sotto livello, a uscire indenne e a marciare verso le nuove date che visti i numerosi sold out confermano la forza dello zoccolo duro dei fans europei.