Amon Amarth, la risposta al logorio della vita moderna
Milano, 20 novembre 2019
A distanza di tre anni esatti, i vichinghi del death metal scandinavo riscendono i mari del Nord e risalgono i fiumi ed il Naviglio Grande fino a riempire nuovamente l’Alcatraz di Milano.
Johan Hegg e soci sono molto amati nel nostro paese e a loro spetta il palco principale, con una scenografia imponente che sta seguendo la band in questo tour: un enorme elmo con dei monitor inseriti al posto degli occhi e la batteria montata sopra di esso.
Che i norreni investano molto sul piano visivo del concerto è palese e risaputo ed il riscontro e l’apprezzamento del pubblico, nonostante tutto appaia un po’ pacchiano, sono immancabili sebbene manchi la componente pirotecnica tipica dei live all’aperto.
Poco male, non sono mancati dei gonfiabili vichinghi e serpenti marini alti fino a toccare il soffitto, coriandoli dorati e l’elmo stesso, che si è elevato lasciando la batteria sospesa a quasi otto metri.
Ad aprire la serata ci hanno pensato gli Hypocrisy con a seguire gli Arch Enemy, band che normalmente in Italia si esibisce da headliner.
Purtroppo gli Hypocrisy hanno suonato troppo presto e solo per una mezz’ora, decisamente poco per poter dare un giudizio sulla performance.
Hanno avuto un buon riscontro dal numeroso pubblico già presente ma il set breve e i suoni pessimi hanno inciso sulla loro esibizione live.
E purtroppo i suoni sono stati una croce per quasi la totalità della serata, osservazione questa che non può essere imputata al genere musicale.
Gli Arch Enemy hanno sfruttato ogni minuto dell’ora a loro disposizione con una scaletta attenta e sempre in crescendo, per consentire alle qualità di growler di Alyssa White-Gluz di esplodere su un muro di suono imponente.
Partendo da ‘The world is Your‘, dove chitarre e batteria fanno già danni scuotendo il sempre più numeroso pubblico, si prosegue senza sosta passando a ‘War eternal‘.
La scaletta ripercorre nella quasi totalità il “Live Power” del 2017 ma vedere all’opera musicisti di qualità affiancati dalla forte personalità della bellissima Alyssa è sempre un piacere ed il risultato è più che soddisfacente: il pubblico è assolutamente coinvolto e partecipe e a dispetto del breve set gli Arch Enemy hanno assolutamente brillato.
Alle 21 scendono in campo i Re incontrastati della scena death metal scandinava.
Un enorme telo nero cade a terra e l’urlo di Hegg all’attacco di ‘Raven’s Flight‘ risuona potente e aggressivo verso una folla già in delirio.
Quello degli Amon Amarth è un concerto che lascia pochi dubbi a chi li segue: potenza, partecipazione e qualità dello show, curato nei minimi particolari e pacchiano quanto basta per instaurare un clima goliardico e di fratellanza pagana norrena in una fumosa Milano.
Fratellanza che non è affatto apologia di ubriaconi barbuti e chiassosi, bensì lotta comune con la costringente società moderna dove valori quali comunione, compagni e libertà sono sempre più sopiti e schiacciati.
Le due ore scarse dello show rappresentano molto anche di questo e trasmettono concettualmente un’ideale di uomini che combattono insieme con il favore degli dei.
Tralasciando il business del concerto, non è forse questo quello che serve in un concerto?
Un live dovrebbe essere anche evasione, sfogo e per una sera dissolvimento di ogni costrizione: gli Amon Amarth sono una delle risposte più convincenti a questi bisogni.