AMA Music Festival live ad Asolo (TV): day 06
Si chiude il 28 agosto una lunga ed intensa settimana ad AMA Music Festival ad Asolo e, come al solito, il caldo afoso ci tiene stretti nella sua morsa oggi più degli altri giorni.
Dicono che il finale sia sempre il momento più intenso dello show, l’epilogo, la tensione narrativa al massimo grado: per me stasera è particolarmente speciale, non solamente perché degna conclusione di un esperienza così importante per il mio territorio, ma soprattutto per il legame speciale che nutro con una delle band che si esibiranno sul palco.
Si comincia prestissimo, all’orario di apertura dei cancelli (18 in punto) quando attaccano i Mary In June, formazione romana che tengo d’occhio da un po’ nell’ambito del post rock e, a mio parere, caldamente sottovalutata dalla scena underground italiana.
I quattro pubblicano con l’etichetta punk indipendente V4V il loro secondo album “Tuffo” (leggi qui la recensione) e stasera per l’occasione tornano sul palco in formazione completa con Aron Carlocchia alle tastiere, gentilmente prestato a Calcutta durante il tour di “Mainstream” (leggi qui la recensione).
Il live è intenso come al solito, i brani passano da momenti più melodici ad altri più tendenti al punk. Quello che mi colpisce sempre di questa band è il contrasto tra la malinconia delle parole e quella strana sensazione indescrivibile di positività che trasuda dal live, come se, alla fine, soffrire non fosse poi così sbagliato.
Peccato per la scarsa affluenza del pubblico, dovuta sia al il caldo insopportabile, sia all’orario avverso a qualsiasi forma di vita da festival se non agli intenditori del genere.
Si continua con due formazioni femminili, sul Main Stage Giorigieness, nuova promessa del rock cantautorale con un’energia che un po’ mi spaventa: la ragazza, visibilmente emozionata, sputa in faccia al pubblico le sue canzoni sfoderando una grinta straripante di emozioni e di spontaneità. L’attitudine punk c’è e si vede.
Sul Circus Stage però Chiara dello Iacovo accompagna l’aperitivo con il suo cantautorato semplice, ingenuo e leggero. Reduce dalle nuove proposte di Sanremo con il brano ‘Introverso‘, la ragazza sembra catturare più consensi più di quanti me ne aspettassi, attirando curiosi per la sua ultima esposizione mediatica. Dal canto mio mi defilo per una cena in velocità tra amici accompagnata da un’altra ventata di post-rock made in Italy: Pietro Berselli.
Pietro Berselli è un cantautore bresciano trapiantato a Padova, scrive, canta e fotografa.
È visibilmente innamorato dell’arte e tutto questo si riflette nel suo sound: le atmosfere sono scure, gli arpeggi di chitarra profondi che lasciano spazio ad un’intensa meditazione. Berselli porta sul palco delusioni e amori finiti, l’intensità è piacevolmente straziante ma per me sta per arrivare il momento più atteso del festival, una piccola gioia che va al di là degli headliner internazionali e dei grandi numeri, una gioia che ormai è una grande amicizia collettiva, un momento di sfogo totale in cui farsi violentare emotivamente dalla musica.
Mi aggrappo alla transenna e si eseguono gli ultimi momenti di check, senza Petev oggi salgono sul palco Capra, Sollo e la solita formazione d’ensemble: eccoli, i Gazebo Penguins.
I Gazebo Penguins sono diventati orami una delle figure chiave per la scena underground italiana grazie alle innumerevoli collaborazioni con gruppi quali Fine Before You Came, Verme, Do Nascimiento, solamente per citarne alcuni. Il suono è sporco, istintivo, maldestro, non cercano in nessun modo di conquistare la gioia del grande pubblico, cercano vie defilate per arrivare all’animo dei loro fans al di là dei singoloni.
I Gazebo Penguins sono una delle piccole glorie italiane, uno di quei gruppi che è riuscito a crearsi un discreto pubblico che condivide nei loro confronti una sorta di fede religiosa e devozione non facendosi mettere i piedi in testa in nessun modo. Non parlano di massimi sistemi e amori platonici ma di piccole cose della vita, la montagna, gli animali, le situazioni in cui ogni uomo medio può e potrà mai ritrovarsi.
La scaletta è ridotta all’osso: ‘Il tram delle sei‘, ‘Difetto‘, ‘Piuttosto bene‘.
‘Senza di te‘ è un urlo di dolore, un pugno nello stomaco, ma è anche un grido di amore incondizionato verso chi, dall’altra parte della transenna, sta facendo straripare il cuore di emozioni.
Durante il live vola tutto come al solito: occhiali, scarpe, persone…tutti ci stringiamo come una grande famiglia e ci lasciamo andare ad un grido di liberazione.
Il live si conclude con ‘Nevica‘, brano culto facente parte in uno split con I Cani intitolato per l’appunto “I cani non sono i pinguini”.
Con una paura assordante in corpo che questo momento di alta solennità possa essere in qualche modo turbato da strani fenomeni inaspettati, mi dirigo verso il Main Stage dove c’è forse uno degli ospiti più attesi del festival: Calcutta.
Il cantautore di Latina sta pian piano diventando una superstar nel panorama dell’indie italiano. Acclamato quanto contestato, personaggio controverso e imprevedibile, sale sul palco con la sua solita mise pantaloncino-cappellino accompagnato dalla fedelissima band.
Edoardo è conosciuto ai più per il suo album “Mainstream” con il quale percorre lo stivale tra un sold out e l’altro.
La forza di questo ragazzo non sta tanto nella presenza scenica quanto nella sua capacità di interpretare le nuove derive della musica popolare italiana. I suoi testi sono imprevedibili, spesso proiettati verso un piacevole non-sense, figli della musica leggera non impegnata.
Si parla di amori frivoli, di viaggi tra una città e l’altra, tutto rigorosamente “light” e annoiato ed è proprio questo che evidente piace così tanto ai giovani, la leggerezza di una generazione che, in quella leggerezza, cerca rifugio dai tanto agognati problemi adolescenziali. L’aspetto “piacione” di Edoardo e il suo saper inserirsi benissimo nei contesti social del web lo portano ad essere un interprete perfetto delle nuove generazioni.
La band si muove tra grandi successi urlati dalla maggior parte del pubblico come ‘Gaetano‘ e ‘Cosa mi manchi a fare‘ e vecchie tracce tratte da “The sabaudian Tape”, suo Ep di debutto, per chiudere con ‘Oroscopo’, hit radiofonica dal ritmo inaspettatamente reggae.
Sul Circus Stage inizia una festa che sta dando il via ufficialmente alla fine di questo festival: Cosmo fa ballare tutto AMA Music Festival con il suo pop danzereccio e la sua grande autoironia capace di ricreare un clima di festa anche nelle situazioni musicali più improbabili.
Reduce da un’esperienza electropop più ricercata con i Drink To Me, Jacopo Bianchi è diventato il re della balera dell’indie con il suo ultimo album “L’ultima festa” (leggi qui la recensione) che alterna momenti più riflessivi ad altri decisamente da hit radiofonica con brani, appunto, come ‘L’ultima festa‘ title track dell’album. Cosmo è uno sperimentatore, un alchimista ed il suo esperimento è quello di far ballare l’hipster medio italiano, e c’è riuscito appieno.
Il pubblico invade il palco saltando e ballando tra un brano e l’altro e Cosmo dirige l’orchestra sgangherata.
I Tre Allegri Ragazzi Morti (che in realtà sono sei) stasera giocano quasi in casa e scelgono Asolo che ultima data del loro tour estivo portando ad una degna conclusione la serata. Una prima parte del live propone pezzi tratti dall’ultimo album “Inumani”, con Adriano Viterbini e Monique Mizrahi al charango elettrico. La formazione rinnovata è segno di una continua e imperterrita ricerca musicale da parte dei componenti della band che riesca, anche dopo decenni di attività, a ricreare un suono sia a passo con le nuove tendenze musicali, sia che mantenga l’inconfondibile linea melodica.
La seconda parte del live è quella più esplosiva, Davide Toffolo sa ancora intrattenere il pubblico con i suoi giochi di parole naif, e la folla esplode in brani come ‘Occhi bassi‘, ‘Ogni adolescenza‘ e l’immancabile evergreen ‘Il mondo prima‘.
Ci lasciamo tutti trasportare in questo dolce revival adolescenziale che porta ad una malinconica conclusione di serata.
È una grande gioia e soddisfazione vedere come questa realtà, fino a pochissimo tempo prima solamente locale, si sia trasformata in qualcosa che è capace di tener testa alle grande rassegne internazionali. È ammirevole come la dedizione e l’impegno di una squadra di giovani è riuscita a dare la giusta importanza sia ai grandi nomi internazionali, sia alle piccole realtà indipendenti così bisognose di attenzione.
Il grazie va a chi ha partecipato, organizzato, suonato, a chi ha in qualche modo dato il suo piccolo contributo per la buona riuscita di questo festival, per chi ha in qualche modo creduto, e ancora crede nel potere e nell’energia della musica dal vivo.
Una musica fatta solamente di persone, una musica che ci crede ancora.