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AMA Music Festival live ad Asolo (TV): day 02

La seconda serata di AMA Music Festival (24 agosto) inizia un po’ a rilento: vuoi per la nostalgia della serata appena trascorsa, vuoi per la stanchezza di un mercoledì rovente che sembra non finire mai.

Le danze si aprono alle 19 spaccate sul Circus Stage dagli Hund, formazione electropop veneziana, seguiti dai Mother Island, formazione italianissima dal suono tipicamente americano a cavallo tra psichedelia e cantautorato folk. Occhiali scuri e camice stampate la formazione si destreggia tra chitarroni alla Jefferson Airplane e pezzi più “ballad” in cui la cantante e frontman riesce a sfoggiare una voce graffiante e sicura. Promossi a pieni voti.

Stasera manca all’appello Birthh a causa di una laringite acuta della cantante Alice Bisi.
Avevo già avuto la possibilità di sentire live questo interessantissimo trio e ne rimasi piacevolmente colpita: le atmosfere ambient-dream pop si sarebbero sposate benissimo con la suggestiva cornice asolana.

Mi sposto sul Main Stage dove noto che stasera è stata installata una telecamera che trasmette i live su maxischermo. Trovata interessante per non obbligare il pubblico pigro ad avvicinarsi troppo al palco e per dare la possibilità anche a chi si trova nell’area relax nelle retrovie di rimanere aggiornato sulla situazione della serata.

Sento in lontananza una chitarra super catchy e vedo delle cofane di capelli scuri da far invidia ai Bee Hive: sono gli Sticky Fingers, formazione australiana (di Brisbane, per la precisione) prima d’ora a me completamente ignota. Mi informo un po’ e scopro che i quattro godono di un discreto seguito qui in Italia: perfetto stile DIY australiano con camicione a fiori e pantaloncini da surf accompagnanti da calzettoni di spugna, si fanno notare per un live irriverente, ed a tratti quasi comico ma comunque per un’invidiabile spontaneità.

Prima della fine del live mi muovo verso il Circus Stage dove sta eseguendo il soundcheck la mia piccola gioia della serata: Motta.
Francesco Motta è un ragazzaccio toscano che parla poco ma suona fortissimo.
A vederlo al bar del paese sembra schivo e timido ma appena sale sul palco sfodera un’energia da veterano. Stasera sembra che ci sia qualche problema tecnico a causa della mancanza del fonico della band, sostituito in extremis.
Motta è visibilmente scocciato per le tempistiche lampo da second stage e la scaletta ridotta all’essenziale ma poco male, si comincia. Il ragazzo abbraccia e bacia  tutti i componenti della band, quasi volesse ringraziarli e renderli consapevoli in ogni momento del live della loro importanza. Si eseguono pezzi tratti dall’album di debutto “La fine dei vent’anni” e subito la mia attenzione si sposta sulla precisione e la concentrazione del chitarrista, quasi stesse eseguendo un intervento chirurgico.
Il live si apre con ‘Prenditi quello che vuoi‘, seguita da ‘La fine dei vent’anni‘, title-track del disco e ‘Sei bella davvero‘, dal testo particolarmente emozionante perché dedicato alle donne trans gender.

Motta riempie il Circus Stage attirando l’attenzione di tutti i curiosi, dalle prime file delle ragazze urlano tutti i pezzi e ballano visibilmente molto emozionate quasi fossero davanti ad un dio del rock.
È difficile per tutti, soprattutto per i fotografi, seguirne i continui spostamenti da una parte all’altra del palco. Il ragazzo non sta mai fermo e mi colpisce particolarmente la sua gioia in ogni singolo movimento. La musica come unica espressione di vita, come quando colpire forte su tamburo fosse più importante che scrivere una lettera di scuse ad un’ex fidanzata sgradita.
I testi sono spezzati da una dolce/amara malinconia, un rimpianto per qualcosa di perduto ma una gioia ignota per qualcosa che dovrà ancora accadere.
Il live si chiude a malincuore con ‘Abbiamo vinto un’altra guerra‘ e tra le parole «Ora e per sempre ti accontenti/ed io non parlo quasi più» noto una sorta di dispiacere sui volti della band, come se l’obbligo di ridurre la scaletta fosse stato una discriminante per un live di minor intensità e qualità. Come un’opera d’arte incompiuta, un lavoro non terminato.
Ma le tempistiche da festival sono chiare, tutti ne siamo ben consapevoli. A malincuore mi sposto sul Main stage dove hanno attaccato i Kula Shaker, pionieri inglese del crossover musicale.
Anche se non apprezzo moltissimo il genere mi lascio prendere dalla curiosità e decido di darci un ascolto.
Noto come prima cosa un pubblico super coinvolto e molto ballereccio: il gruppo è in grado di unire generi diversi, dalla musica indiana/etnica e la psichedelica al progressive. Mi compiaccio di come un genere apparentemente così musicalmente difficile riesca a catalizzare l’attenzione di un pubblico così variegato e, a mia insaputa, così giovane.

 

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