Al Di Meola, un ritorno che fa sognare Milano
Infinite suggestioni riempiono il Blue Note che celebra il ritorno del grande chitarrista
Ci accoglie un Blue Note già ghermito, in dirittura di sold out (confermato in seguito), per il primo dei due spettacoli della serata.
Protagonista, il grande Al Di Meola che fa ritorno dopo una lunghissima pausa forzata dal COVID-19.
Le persone presenti sono talmente tante, impegnate a conversare nell’attesa del concerto, che una presentazione puntuale richiama all’attenzione: si chiede gentilmente di spegnere i telefoni, non fare fotografie con flash e mantenere il silenzio nel rispetto dell’artista.
Anche al Blue Note queste cose non sono scontate.
Al Di Meola fa il suo ingresso sul palco e come prima cosa ringrazia il pubblico e presenta la band, composta da un batterista, un percussionista di tabla ed un chitarrista spalla, quest’ultimo (ci tiene a precisare) alla sua prima serata con l’ensemble.
I suoni sono molto naturali, inizialmente le chitarre non sono perfettamente definite ma il tutto migliora entro i primi due brani, e a questo punto a livello sonoro non c’è più una virgola fuori posto.
Si viene subito rapiti dalla mescolanza trasognante di sonorità arabe, indiane, brasiliane, mediterranee, flamenco.
Tutti i brani del chitarrista sono dei fraseggi che diventano melodie, che diventano canzoni con richiami in evoluzione continua e non si ripetono mai identici.
Al propone un brano inedito, non ancora uscito, che sarà presente sul prossimo album (quando sarà completato), dal titolo ‘Fandango‘.
Nonostante la proposta, va detto che l’ascolto non è semplice.
La musica di Al Di Meola non si distingue per accessibilità ma non risulta mai stucchevole, proprio grazie alla varietà di sonorità che spaziano molto e di cui la chitarra è strumento principale e portante.
Le luci sul palco sono statiche, cambiano solo la colorazione in due occasioni durante l’ora e mezza di concerto.
Anche i musicisti, per ovvie ragioni, non possono che essere statici.
La staticità, però, non va intesa in modo negativo: come è tipico del jazz (ma anche di altri generi) spesso non serve uno spettacolo di effetti speciali per sorprendere, specialmente quando sono il contenuto e l’esecuzione a trionfare.
In questo caso la tecnica esecutiva lascia veramente senza parole.
Tecnica che viene comunque superata dalle suggestioni compositive continue, e nonostante sia strabiliante e inarrivabile non pesa mai, proprio perché ci si ritrova a sognare ad occhia aperti, senza pensare alla difficoltà di ciò che viene eseguito.
Sui brani più lenti e sulle ballate, i tecnicismi lasciano spazio alla composizione e si vola su registri decisamente diversi.
Questi brani rendono la loro magia specialmente dal vivo, nell’esecuzione sentita e nell’interpretazione, resa dalla dinamica degli arpeggi, dai cambi di volume e dagli altri componenti che non riempiono mai troppo, lasciando alla “voce” della chitarra principale tutto lo spazio necessario per “cantare”.
Si arriva a fine set molto in fretta, i musicisti scendono dal palco ma il pubblico non ne vuole sapere di andarsene senza sentire altra musica.
Così, si torna sul palco per un paio di altri brani (casualmente i più famosi).
Difficile sentire tutto quando l’applauso sommerge letteralmente il volume per accogliere ‘Mediterranean Sundance‘.
Menzione d’onore anche per il bellissimo riarrangiamento di ‘Norwegian Wood‘ dei Beatles, qui riproposto in chiusura.
Bisogna dire che lo spazio che viene dedicato alla musica strumentale non è tantissimo, fortunatamente esiste ancora qualche “santuario” per questo tipo di proposte, che permette di poter osservare dal vivo artisti geniali in una cornice intima e ideale.
Al Di Meola dispensa solo sorprese e arricchisce l’immaginazione di tutti con le sue note, felici e malinconiche, che speriamo di poter risentire il più presto possibile.