Accept, l’irrefrenabile battito di un cuore metallico
Passa per Trezzo sull’Adda la sola data italiana degli Accept
La band tedesca, attiva dal 1968, è considerata uno dei gruppi più importanti nella storia dell’heavy metal
Nonostante il traffico cittadino e l’intasamento della tangenziale, anche questa volta riesco nell’intento di raggiungere il Live Music Club di Trezzo sull’Adda – praticamente diventato una sorta di seconda casa – giusto in tempo per non perdere l’opening-act.
Accedo al locale proprio mentre le luci si spengono e parte l’intro che accoglie sul palco i White Skull, storica formazione vicentina in circolazione fin dal lontano 1988, ed arrivata al trentacinquesimo anniversario con un cospicuo bagaglio di dischi all’attivo, incluso il recente “Metal Never Rusts” che porta il contatore delle loro release a quota undici.
Ed è proprio con la title-track di questo album che prende il via una serata all’insegna del sacro fuoco del metallo.
Sotto questo punto di vista, non poteva esserci avvio migliore: i nostri connazionali nel loro genere temono pochi rivali, come dimostra l’elevata affluenza di pubblico tutto sommato anomala per un gruppo-spalla.
Guidata dallo storico chitarrista nonchè fondatore Tony ‘Mad’ Fontò, la band porta sul palco il proprio sound metallico che si muove agilmente tra l’epic ed il power.
Sulle armonie tessute dalle due chitarre – notevole la prestazione del solista Valentino Francavilla – svetta la potenza vocale di Federica ‘Sister’ De Boni.
Nei 60 minuti scarsi a loro concessi, i White Skull fanno scorrere buona parte dei loro brani più apprezzati, da ‘Tales From The North‘ a ‘Red Devil‘, passando per ‘The Roman Empire‘ e ‘I Am Your Queen‘, con la quale la De Boni indossa virtualmente la corona di italica regina del metal.
L’ultimo album viene questa sera ben rappresentato dall’antemica ‘Ad Maiora Semper‘, dalla divertente ‘Skull In The Closet‘ e dalla piratesca ‘Black Ship‘ che si aggiungono alla summenzionata ‘Metal Never Rusts‘.
Il gran finale viene servito con quelli che sono probabilmente i due brani più rappresentativi della band: ad ‘High Treason‘ spetta di chiudere il set principale, mentre per l’immancabile bis viene sfoderata l’epicissima ‘Asgard‘.
Nulla da ridire, l’obiettivo di riscaldare il pubblico può dirsi ampiamente raggiunto.
Con teutonica puntualità arrivano sul palco gli Accept, per il genere un’autentica istituzione.
Questi signori di Solingen sono in giro fin da quando l’heavy metal ancora manco esisteva, il che la dice parecchio lunga sulla loro valenza storica.
Vale anche la pena ricordare che in una delle sue primissime incarnazioni (siamo a cavallo tra i ’60 ed i ’70) faceva parte della band un giovanissimo Michael Wagener, destinato a diventare uno dei più importanti produttori in campo metal, con un curriculum da paura e che ha avuto tra i propri clienti gente tipo gli Skid Row, i White Lion, i Dokken e i miei amatissimi King’s X, per citare solo i primi che mi vengono in mente.
Dunque, gli Accept.
Diciamo subito che sul palco del Live Music Club sale una formazione largamente rimaneggiata: degli Accept ‘storici’ dopo la fuoriuscita di Peter Baltes nel 2018 è rimasto il solo Wolf.
Lo stesso Mark Tornillo, pur avendo quasi raggiunto il terzo lustro di militanza in seno alla band, continua ad essere il ‘nuovo’ cantante.
Attorno a loro troviamo il chitarrista Uwe Lulis ed il batterista Christopher Williams, subentrati nel 2015, mentre a sostituire Baltes è stato chiamto il bassista Martin Motnik. Rimane da segnalare che, grazie all’innesto di Philip Shouse, per questo tour la line-up della band guadagna una terza chitarra.
Da fan dei vecchi tempi (ricordo un loro splendido concerto, con i Dokken in apertura, al Teatro Tenda di Milano, correva l’anno 1986) qualche timore lo avevo.
È bastato un nano-secondo o due di concerto per scrollarmelo subito di dosso: ora come allora, gli Accept confermano la loro reputazione di autentica macchina da guerra, incarnando a pieno lo spirito del più puro ed incontaminato heavy metal.
Graziati da suoni pulitissimi, la band macina con chirurgica precisione riff taglienti come bisturi, sui cui svettano i loro famosi chorus anthemici da pugni al cielo, che ti si infilano nella testa e non ne escono più, tanto che ti ritrovi a canticchiarli anche nei giorni successivi.
Tornillo, anche lui non esattamente un giovin virgulto, calca il palco con la sicurezza ed il piglio di uno a cui l’idea di dover sostituire uno dei più iconici cantanti che il genere abbia partorito non fa ne caldo ne freddo.
Prestazione superlativa, la sua.
E che dire di Wolf Hoffmann?
Un riff-maker incredibile, si presenta sul palco ricoperto di nera pelle e borchie catalizzando l’attenzione di tutto pubblico – e poco importa se la calvizie lo fa somigliare ad un giovane Bruce Willis.
La set-list pare un vero e proprio greatest-hits.
Accanto ai quattro brani che necessariamente devono promuovere l’ultimo album “Too Mean To Die” (citerei la divertente ‘Overnite Sensation‘ e ‘Symphony Of Pain‘) troviamo estratti da “Blood Of Nations” (con giusta enfasi ‘Teutonic Terror‘ e la sempre splendida ‘The Abyss‘) piuttosto che da “Stalingrad” (con ‘Hung, Drown And Quartered‘ e ‘Shadow Soldiers‘).
Tutto bellissimo, ma si avverte nel parterre la voglia di rivivere un pò di gloria passata.
Anche in questo gli Accept si donano con generosità, infilando tutte le grandi hits del passato: da ‘Restless And Wild‘ a ‘Princess Of The Dawn‘, passando per le varie ‘Metal Heart‘, la solita ‘Per Elisa‘ chitarristica ed un timido accenno di assolo di batteria, e ‘Fast As A Shark‘ introdotta con la consueta, iconica, ‘Heidi Heido Heida‘ (che poi altro non è che un estratto da ‘Ein Heller und ein Batzen‘, tradizionale canzoncina tedesca) e resa divertente dallo squaletto gonfiabile che il buon Tornillo ha immediatamente spedito a far crowd-surfing nel pubblico.
Nel primo ed unico encore, la già citata ‘Hung, Drown And Quartered‘ prelude al colpo da KO con quel concentrato di sana cattiveria che è ‘Balls To The Wall‘, seguita dal divertissement di ‘I’m a Rebel‘ con il quale la band si accomiata dal proprio pubblico, rinforzando (se mai ce ne fosse stato bisogno) la propria reputazione di autentiche leggende del Metal.