Sziget Festival 2023 | Day 06 | Billie Eilish
Secondo la Teoria della Relatività il tempo non scorre per tutti alla stessa velocità.
A seconda delle circostanze, ossia del sistema di riferimento in cui avviene la misurazione, il tempo scorre più lentamente o più velocemente.
Se in un sistema in quiete un evento dura “t” secondi, lo stesso fenomeno dura di più (t + x) in uno che si muove quasi alla velocità della luce.
In realtà non è il fenomeno a rallentare, ma il tempo a dilatarsi.
Traduzione nel linguaggio delle liste della spesa: per una particella che viaggia alla quasi alla velocità della luce un secondo equivale quasi a venti secondi per chi, per sua sfortuna, si trova sulla Terra.
Ergo, sono passati sei giorni dall’inizio dello Sziget, ma per noi che siamo saliti sul suo Carro del Sole ne sono passati solo due: ti risvegli e ti rendi conto di essere arrivato alla fine.
Improvvisamente la stanchezza: entri in fase di rientro nell’atmosfera, la velocità inizia a rallentare e conseguentemente il tuo tempo interno ritorna a restringersi per riavvicinarsi a quello terrestre.
Giulio e io passiamo al press center per il consueto briefing sulle autorizzazioni a scattare foto agli artisti del Main Stage.
Camminiamo su quella che ormai è diventata la strada di casa e mi fa notare la differenza di attivazione psicomotoria rispetto al primo giorno: fa caldo, un caldo come quello che intendiamo noi mediterranei – afoso, pesante, appiccicoso, umido, per la prima volta in sei giorni.
E anche se fossi privo di termocettori, te ne accorgeresti guardando verso il mainstage.
Sono le tre di pomeriggio e parecchie migliaia di ragazze e ragazzi, sono in fila da dodici ore per garantirsi un posto alla transenna per il concerto di Billie Eilish. Alle nove del mattino i più veloci sono riusciti a conquistarsi l’agognato posto.
Allo Sziget non esiste il pit o il prato gold ed è giusto così, la gavetta è importante.
Sopra le teste di queste anime eroiche gli enormi cannoni sparano acqua nebulizzata alla massima potenza ma oggi sono coadiuvati da idranti che sottopalco provvedono a inondare le prime file.
L’immagine ha dell’epico e si merita l’immortalità di un reel con tanto di telecronaca.
Fortunatamente il Light Stage è all’ombra e il live dei Santi Francesi si svolge in condizioni ambientali più che accettabili.
Alessandro De Santis – chitarra, voce e ukulele – e Mario Francese – basso, piano elettrico, elettronica e programmazione – da Ivrea.
Trionfatori dell’ultima edizione di X Factor, si esibiscono per la prima volta fuori dall’Italia ed oggi si aggiunge a loro un batterista.
Sono emozionati, si vede: questo avvicina e coinvolge il pubblico presente e avvicina anche me.
L’emozione su un palco fa sempre la differenza in meglio.
Non ho aspettative se non la curiosità di vederli dal vivo, senza la presenza di telecamere.
Prima sensazione: i loro brani live mantengono la stessa vivacità che li ha portati alla notorietà.
Sono una band live, affermano la loro identità e proclamano la loro dichiarazione di intenti in ‘Spaccio‘.
Spacciano rock and roll sui palchi, quando l’artista diventa tramite diretto tra l’energia della musica e le persone che ha davanti.
Determinati e consapevoli della strada che li attende hanno padronanza del palco e gestiscono bene l’imprevisto del computer con elettronica e basi che va in palla per qualche minuto. Alessandro passa alla batteria durante uno strumentale elettronico, poi torna alla voce.
Presentano ‘La Noia‘, il singolo uscito nel giugno scorso, in cui fanno proprio l’idea leopardiana e celebrano la condizione di tedio esistenziale come condizione necessaria per innescare la scintilla creativa.
Il tempo di regalare la loro versione di ‘Ragazzo di Strada‘, brano del 1966 dei Corvi, scoperto da Alessandro grazie alla versione new wave di Ivan Cattaneo.
Concludono il set con ‘Non È Così Male‘, canzone che li ha portati alla vittoria di X Factor.
Concludo anche io: conoscevo poco di loro prima di oggi, sono ancora un po’ acerbi, ma scrivono bene, hanno talento e hanno passione e consapevolezza.
Bene così.
Il cielo si copre, inizia a piovere: prefiguro a breve la cerimonia di apertura dei campionati mondiali di lotta nel fango.
Non arrivo nemmeno a gustarmi il fischio d’inizio: quelle poche gocce si rivelano un falso allarme.
A dispetto del grigio piombo del cielo, il Main Stage va in controtendenza e si tinge di colori come mai prima d’ora.
In attesa di Billie Eilish, è Girl in Red, al secolo Marie Ulven Ringeim, ventiquattrenne norvegese, a prendersi la scena.
La ragazza va in controtendenza anche rispetto a quanto visto fino ad oggi: niente immagini dal backstage.
L’attacco è una cannonata senza preavviso, entra sul palco lanciata da una fionda: esuberante, impossibile per lei star ferma sul palco.
La sua band è una combinazione elettronica e analogica:due chitarre, basso, batteria, computer e programmazione.
Canta la libertà di amare, la rottura degli schemi stereotipati di genere ed il suo abbigliamento (pantaloni neri, camicia bianca e gilet nero) rafforza il messaggio e risalta nel trionfo di colori caldi, dal giallo al rosso, passando per l’arancio, che dominano il light show e le immagini sugli schermi.
La sua musica è connotata da sonorità indie, hip hop.
Ciliegina sulla torta, secondo il mio orecchio pesca anche qualcosa nel serbatoio elettropop e new wave degli anni Ottanta.
Il suo primo – e finora unico – album si chiama “If I Could Make It Go Quiet”, è uscito nel 2021: le canzoni sono farfalle ad ali spiegate che cantano l’amore senza distinzioni.
Amore saffico, senza filtri e veli, considerato sotto ogni punto di vista: desiderio, romanticismo, sesso e lussuria, tradimento, passione.
A scanso di equivoci, subito prima di ‘Girls‘ fa coming out per quelli tra i presenti che avessero ancora qualche dubbio.
In ‘October Passed By Me‘ imbraccia la chitarra acustica e dalle mie pieghe sinaptiche emerge un nome che a qualcuno dirà qualcosa: Edie Brickell. Affronta anch’essa il tabù della salute mentale, del suo rapporto con la psicoterapia e dei suoi demoni interioni in ‘Serotonin‘, in cui fonde l’hip hop della strofa con l’elettropop del ritornello: la canzone è stata prodotta insieme a Finneas O’ Connell, fratello di Billie Eilish, e si sente.
In ‘I’ll Call You Mine‘ campiona la batteria dei Cure di ‘Close to Me‘ e fa esplodere di elettricità e di salti le almeno ventimila persone che continuano a crescere secondo dopo secondo, poi interrompe il concerto e invita la security a portare soccorso a qualcuno che, stremato dalle ore di attesa e dal caldo sembra non sentirsi bene.
Riparte e chiude a modo suo la performance – «I don’t want to be your friend, I wanna be your bitch».
Detto da una ragazza a un’altra ragazza è una bella firma svolazzante.
Davanti a me, di spalle, una ragazza con una grande bandiera norvegese finisce – la bandiera, non lei – nella galleria del mio smartphone.
Se dovessi sintetizzare l’essenza, lo spirito che anima la comunità dello Sziget con un nome, farei quello di Girl in Red: lontana anni luce da rivendicazioni rabbiose, si mette a nudo con semplicità.
È sé stessa, senza aggressioni verbali o toni sopra le righe.
Se c’è una battaglia da combattere, è il sorriso l’arma con cui la porta avanti.
Canta l’amore inclusivo, oltre l’appartenenza a qualsiasi genere, con leggerezza, soavità; la carnalità e passione sono raccontate con naturalezza e svuotate di qualsiasi aspetto torbido, maledetto, perverso.
L’amore sposa la libertà e abbandona – finalmente – possesso e gelosia.
Amore che può appassire come le foglie rosse e gialle del mese di ottobre, ma è pronto a far sbocciare i nuovi petali in primavera.
L’amore che ho visto in questi giorni passare davanti ai miei occhi, l’amore del colore del sole, al massimo velato dalla nuvola della malinconia – e non occultato da paralumi viola di un club privé dall’entrata attraverso una porta anonima e nascosta agli occhi dei benpensanti e della pubblica morale.
Gli occhi sono ancora pieni dei colori dell’artista norvegese quando la pelle inizia a pizzicare.
La tensione elettrica, da giorni sotterranea tra le pieghe del festival, trova il suo naturale sbocco: arriva l’evento più atteso allo Sziget 2023 insieme all’esibizione degli Imagine Dragons.
Viene dalla California e arriva a Budapest per la prima data del suo tour europeo, che dopo l’Ungheria toccherà Belgio, Olanda, Francia, Regno Unito e Irlanda.
Billie Eilish Pirate Baird O’Connell (per gli amici Billie Eilish), ventuno anni e una manciata di mesi, 65 milioni di dischi venduti, quasi cento milioni di followers su Instagram, sette Grammy Awards vinti nel 2021, più di cinquantamila presenti nella spianata dell’isola di Obuda: con i numeri ci fermiamo qui.
Sul palco montano in pochi minuti un grande piano inclinato, prosecuzione dello schermo posteriore.
Su una pedana sopraelevata piazzano le postazioni della batteria e dell’elettronica.
Ventuno e quindici: la sua apparizione spacca il minuto.
«Sono molto diversa da tante persone e cerco di esserlo. Non mi piace affatto seguire le regole e la moda: se qualcuno inizia a indossare qualcosa in un certo modo, indosserò l’esatto contrario di quello. Ho sempre indossato quello che volevo e dicevo sempre quello che volevo dire. Mi piace essere ricordata, quindi mi piace sembrare memorabile. Penso di aver dimostrato alle persone che sono più importante di quanto pensino. Sono un po’ intimidatoria, quindi la gente mi ascolterà. Sono un po’ spaventosa».
Oggi questo virgolettato spiega in buona parte l’origine del suo successo planetario.
L’artista incarna le istanze di una generazione intera di coetanei: è icona e messaggio di liberazione dell’individualità dai vincoli e dalle imposizioni di un mondo e di libertà di espressione delle individualità, senza filtri, censure e giudizi.
«Non seguire modelli esterni, segui soltanto te stesso e la tua luce interiore»: libera le ragazze dalle pressioni della moda e dei canoni estetici, prendendole per mano e conducendole verso l’accettazione del proprio corpo e della bellezza che irradia sempre e comunque.
Ed è credibile.
Lo è perché non si limita a dichiarazioni verbali e lo conferma l’outfit di stasera: cappellino rosso da baseball, maglietta da football americano nera e di quattro taglie più grandi, shorts attillati, calze velate nere, reggicalze, calzini di spugna bianchi corti sopra le calze, scarpe da ginnastica.
Lo è perché è drammaticamente sincera.
Racconta senza alcun tabù degli abusi subiti durante l’infanzia, della sua malattia – la sindrome di Tourette -, è attenta al tema della salute mentale, si schiera apertamente a favore degli scioperi globali per sensibilizzare sulla crisi climatica.
È lo specchio della generazione Greta Thunberg, del lockdown pandemico, quella non binaria, delle relazioni liquide e mediate da smartphone e pc che agiscono come protesi emozionali.
L’espressione “protesi emozionale” è presa in prestito dal giornalista, autore e conduttore radiofonico Gianluca Nicoletti.
L’autore ha esplorato come gli smartphone e i social media, abbiano influenzato la nostra capacità di connessione emotiva con gli altri e come possano essere considerate come una sorta di estensione delle nostre emozioni.
È probabilmente la prima popstar influencer, suo malgrado.
Il meccanismo di identificazione è lo stesso: non l’artista inarrivabile, non l’alieno androgino dai capelli color carota sceso sulla terra, non è il poeta maledetto connesso con il grande spirito delle tribù dei nativi americani, non l’angelo luciferino con il quale milioni di genitori non vorrebbero far uscire le proprie figlie.
Ma si presenta come molto simile alle decine di migliaia di ragazze e di ragazzi – piace in egual misura – che da sei giorni vedo vivere l’esperienza di appartenenza e di comunità qui allo Sziget.
Impossibile comprendere il fenomeno Billie Eilish senza incastonarlo in questo quadro di riferimento.
Stando così le cose, nonostante possieda musicalità e talento – e nonostante suo fratello faccia un gran lavoro di produzione – l’aspetto strettamente musicale passa in secondo piano.
Così come sullo sfondo restano le voci sul sospetto di playback che da tempo circolano intorno alle sue esibizioni, per me non del tutto giustificate – usa harmonizer e backing vocals nelle basi, per riempire ed è diverso – ma anche stasera, ad ascoltare i ragazzi triestini dietro di me e alcuni componenti del gruppo Whatsapp Sziget 2023 Italia, non sono completamente messe a tacere.
Apre con ‘Bury a Friend‘ ed è apoteosi in un mare di rosso – luci e megascreen – all’interno del quale nuoterà per quasi metà concerto.
In ‘Therefore I Am‘ la voce sussurrata e flessuosa invita i sessantamila presenti – personale stima in attesa dei dati ufficiali – a saltare con lei. ‘Idontwannabeyouanymore‘ (è davvero il titolo del pezzo, non è un refuso) lascia spazio alla sua vena più pop e melodica, mentre ‘My Future‘ ce la regala quasi in versione jazz, accompagnata dai suoni morbidi di un piano elettrico, le immagini di una notte lunare che diventa cartone animato e la voce che si fa goccia di rugiada che scivola su una foglia.
Via il cappellino, chiama il pubblico.
Le mani in alto e riprende a saltare con ‘You Should See Me in a Crown‘, davanti a un gigantesco ragno nero su sfondo bianco che passa da uno schermo all’altro.
Riceve una rosa rossa e nuovamente ritornano le atmosfere jazz in ‘Billie Bossa Nova‘.
L’hip hop elettronico di ‘Goldwing‘ è l’ultima scossa prima di ‘What I Was Made For‘, passata alla storia come colonna sonora di “Barbie”, e del relativo video che scorre negli schermi.
L’intermezzo acustico vede protagonista il fratello Finneas, regista non occulto, produttore e co-autore di ogni successo dell’artista losangelina: è presentato come «il miglior fratello che esista al mondo», e lo credo bene.
Cantano insieme ‘I Love You‘: la sua voce mostra qualche piccolo cedimento di intonazione, ma abbiamo detto che non conta.
Entra l’elettronica sulla chitarra acustica in ‘Your Power‘ e si accendono le torce degli smartphone: è pop, ben costruito e non parliamo di basi sotto la sua voce.
Anche perché, senza strumenti polifonici, soltanto un’artista avrebbe potuto cantare riempiendo lo spazio come una intera orchestra: si chiamava Sinead O’ Connor, ma giocava in un altro campionato.
Le armonizzazioni vocali di ‘When the Party is Over‘ sono una ninna nanna malinconica che accompagna nella dimensione del sogno e verso la fine del concerto.
Poi ‘Bad Guy‘ con gli ennesimi salti suoi e del pubblico ed infine, dopo un’ora e mezza, ‘Happier Than Ever‘ chiude il set.
E chiude anche l’edizione 2023 dello Sziget.
Concetti come appartenenza, comunità, armonia, inclusione trovano qui una traduzione in azioni concrete, abbracci, sguardi.
Per l’ultima volta, almeno nel 2023, percorro il viale che porta verso il ponte sul Danubio, collegamento tra isola di Obuda e terraferma.
In taxi, verso l’appartamento nel centro di Budapest, mi cade l’occhio una scritta colorata e luminosa nel cielo sopra il fiume che bagna quattro capitali: il logo Sziget e un cuore accanto.
Il cuore che si ha a vent’anni e che da adulti perdiamo, ma non tutti.
Il mio è ‘Happier Than Ever‘: più felice che mai.
Budapest, 15/08/2023
Photo Gallery
© Giulio Paravani
Billie Eilish
Sleaford Mods
Girl in Red
Dzsúdló
Santi Francesi