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Astolfo sulla Luna - Ψ²

Astolfo sulla Luna – Ψ²


Chi ha buona memoria, o chi è appassionato di poemi cinquecenteschi, ricorderà che nell'”Orlando Furioso” di Ariosto un canto è incentrato sulla figura di Astolfo.
Su incarico di Dio, Astolfo deve recuperare sulla Luna il senno di un Orlando alquanto arrabbiato e deluso dal tradimento dalla propria amata Angelica.
L’impresa gloriosa lo vede dunque protagonista di un percorso in sella ad un ippogrifo che dall’Inferno lo porta prima alla cima del Paradiso Terrestre e poi, grazie a San Giovanni Evangelista, fino in terra lunare (stavolta, però, a bordo del carro di Elia).

Ora, che cosa aspettarsi di preciso da una band che si chiama così, Astolfo sulla Luna?
Vorrei chiederlo a voi lettori e mi piacerebbe, se fosse possibile, avere una risposta prima della vostra prosecuzione nella lettura di questa recensione – proprio perché io, a priori, un’idea non me la sono saputa formare.

Gli Astolfo sulla Luna sono un trio campano (due componenti di Napoli, uno di Benevento) che giungono alla ribalta con il loro “Ψ²” (Psi^2).
«Eh, ma che diamine: fan di tutto per complicarsi le cose, questi ragazzi!»: pare di sì, che a loro le cose semplici non piacciano.
Pare però che nonostante tutto riescano anche a restare ben impressi nelle orecchie (anzi, più corretto dire nei timpani) delle persone.
Il merito, forse, è anche di quella voce rabbiosa, aggressiva e tremendamente penetrante che viene sputata in faccia agli ascoltatori senza preambolo alcuno.

Oscuro quanto basta, teatrale e dal respiro noir, “Ψ²” è un lavoro che spettina dal primo all’ultimo brano.
Francesca Del Gaudio (basso), Rosalia Cecere (chitarra, voce, synth) e Gianluca Timoteo (batteria) non risparmiano qui potenza e pathos dipingendo a suon di math rock dieci brani inaspettati ed immediati.
Paragonabile alla colonna sonora di un film, l’ascolto del disco spicca il volo a partire proprio dalle note del basso, che dona venature post punk all’intero sound: muri immaginari contro i quali i testi vanno a sbattere cadendo a terra, in mille frantumi, per poi (magicamente) ricomporsi sotto nuove forme.

Se all’epoca di Ariosto fossero esistite quanto meno le cassette, mi piace pensare ad un Astolfo ben saldo alle sponde del carro di Enea con ‘Ibis Redibis Non Morieris In Bello‘ a tutto volume: un po’ di sana caciara per far capire che non tutto è forzatamente indie pop.
C’è anche dell’altro, e merita di diritto una chance.

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